Secondo lo IARC, “Global Cancer Statistics 2018”, l’incidenza del cancro è aumentata passando da 14,8 milioni di nuove diagnosi nel 2014, a 18,1 milioni nel 2018 (di cui il 23,4% in Europa). Ciononostante, l’impiego di nuove terapie biologiche, immunologiche, ormonali, unitamente a quelle tradizionali chemioterapiche, chirurgiche e radiologiche ha permesso sia maggiori guarigioni che più lunghe sopravvivenze. A questo tempo di vita restituito e allungato si sono comunque associate prescrizioni di accurata sorveglianza ed esiti sfavorevoli sulla qualità di vita dei pazienti, da dover considerare il cancro una patologia cronica protratta nel tempo. Cambiamenti nelle disponibilità economica di pazienti e familiari, delle abitudini professionali, alimentari, di relazione sociale, di gestione e dell’immagine del proprio corpo, della qualità della vita sessuale, e talvolta anche l’impossibilità di realizzare un progetto genitoriale, trasformano la cronicità della dis-abilità fisica e materiale, indotta dalla malattia, in una sofferenza psicologica altrettanto cronica e talvolta di natura traumatica.
Si ascoltano così pazienti che, già a distanza di molti anni dalla guarigione clinica e a partire dalla diagnosi, lamentano stati di distress quotidiani, costanti o intermittenti, nelle forme di ansia, depressione, stanchezza, evitamenti e ritiri, sensi di vergogna, di inadeguatezza ed impotenza alla cui abitudine si perde addirittura la capacità di riferirli alla condizione di malattia pregressa. Diventa nella loro percezione un tratto di identità mutata che interferisce con una vera espressione della propria resilienza e della sua consapevolezza.
E’ importante insistere sulla presa di coscienza che, se certi percorsi terapeutici non permettono con la guarigione di recuperare condizioni fisiche precedenti alla malattia, invece, l’adattamento psicologico, che pur mantenga il piano di realtà e percepisca che molto è diverso da prima, o che quasi “nulla è come prima”, può avere facilitazioni benefiche. Un adattamento resiliente che si può avvalere del sollievo di poter riconoscere due aspetti fondamentali.
In primo luogo il riconoscimento che quegli stati di sofferenza non sono necessariamente risposte di tratti identitari, ma risposte reattive alla malattia, divenute croniche nelle tempo per cause multifattoriali. Fra queste l’eventuale storia pregressa e postuma alla malattia di eventi avversi cumulativi, la perdita del lavoro, i lutti, lo stress professionale, la non disponibilità di risorse, anche relazionali, necessarie a sostenere i processi di cura e riadattamento postumo alla guarigione possibile, i caregiver provati che hanno involontariamente stressato il senso di colpa, di dipendenza, di preoccupazione e vergogna della persona ammalata, e, non ultimo, il non aver mai potuto disporre di uno psicologo-psico-oncologo che potesse favorire l’attivazione di tutte le risorse disponibili e non disponibili, intrapsichiche, interdisciplinari, per una prevenzione della cronicità della sofferenza psichica.
In secondo luogo, un sollievo che può derivare dal riconoscimento che può davvero essere fatta non solo prevenzione primaria sulla cronicità della sofferenza psichica ma anche secondaria e terziaria. In particolar modo stati di stress cronico, sia traumatico che non traumatico, possono essere trattati anche a distanza di molti anni dagli eventi generatori con un piano terapeutico che preveda la narrazione della propria storia, fatta dalla persona stessa secondo diverse prospettive. La prospettiva della persona che era prima della malattia, quella del paziente durante la malattia, del caregiver e degli operatori sanitari e quella della persona che è oggi. Ciò permetterebbe alla persona con sofferenze psicologiche croniche di rintracciare una trama e una rete di funzioni agite su di essa da più parti, tale da rendere esplicita la non ineluttabilità dello stato di dis-abilità attuale, potendo recuperare margini di responsabilità resiliente in aree ancora preservate, da riattivare o esplorare ex-novo. Qualora la narrazione fosse frammentata, non disponibile, si può procedere partendo, invece che dall’alto, dal basso, cioè dal linguaggio del corpo nelle sue manifestazioni ordinarie, postura, movimenti impercettibili, sensazioni fisiche, che rappresentano la forma espressiva somatica di memorie inenarrabili verbalmente- diceva van der Kolk che il “corpo tiene i punti”. Si ricalcano queste memorie sensomotorie secondo le procedure tipiche degli approcci psicoterapici sensomotori per far emergere immagini di momenti della propria storia dove si sono installati apprendimenti traumatici relativi al sé, come l’essere impotente, in colpa, in pericolo, e la conseguente risposta psicofisiologica di deattivazione o iperattivazione con correlate emozioni di tristezza cronica, ansia cronica, ritiro cronico. Tanto si può fare ulteriormente per modificare un assetto psiconeurobiologico divenuto disfunzionale nelle reti sinaptiche, nelle espressioni ormonali, ed anche molecolari, attraverso altre procedure come l’EMDR, ma soprattutto attraverso un uso guidato e sapiente della parola sintonizzata, condivisa, ridefinita, restituita durante un percorso ad approccio di sostegno psicologico.
Per trovare psicologi specialisti nella risoluzione delle sofferenze croniche ci si può rivolgere presso gli Albi degli Ordini Regionali degli Psicologi, o l’Ordine Nazionale, o presso i centri di volontariato per l’assistenza oncologica.