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Il Massachussets Insititute of technology di Boston (MIT), sviluppando i dati forniti dalla Johns Hopkins University di Baltimora, ha effettuato uno studio osservazionale sul rapporto tra condizioni climatiche e diffusione del contagio da coronavirus nel mondo e tali risultati hanno suggerito, con sensibile evidenza, che tale rapporto assume un ruolo importante nella capacità del virus di diffondersi.
I dati pubblicati riportano come la maggiore percentuale dei casi registrati si era manifestata in tutti i paesi dove la temperatura oscillava tra i 3 ed i 13 gradi mentre in tutti i paesi dove la temperatura non scendeva sotto i 18 gradi i casi registrati non superavano il 5% del totale.
Tali dati sono stati confermati ulteriormente anche da osservazioni effettuate in Cina dove si è visto che nelle zone dove le temperature erano più basse la diffusione del virus avveniva in modo più veloce rispetto a zone dove la temperatura si attestava su livelli più alti.
In sudamerica nei mesi di gennaio e febbraio, quando le temperature raggiungevano picchi oltre i 35 gradi, il numero totale di contagi, escludendo il Brasile, si misurava in termini di alcune decine.
Tali osservazioni non possono assolutamente assumere valore scientifico stringente tuttavia riescono comunque a dare una prospettiva incoraggiante sul comportamento del virus in presenza di temperatura superiori ai 20 gradi.