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Bisogna accelerare sui vaccini penalizzando le Big Pharma inadempienti sulle forniture. Questa la linea di tutti gli Stati membri, espressa nel corso del Consiglio europeo. Si trova anche un primo accordo per il via libera ai passaporti vaccinali, quei certificati che potranno consentire a chi ha ricevuto le dosi di muoversi e viaggiare. Vanno fatti entro tre mesi, è stato l’impegno politico. Con 51,5 milioni di dosi di vaccini distribuiti complessivamente nell’Unione a fine febbraio, e solo l’8% di europei che hanno ricevuto almeno la prima immunizzazione, i capi di Stato e di governo hanno chiesto che la Commissione adotti un approccio più rigido nell’applicazione del controllo dell’export per quelle aziende farmaceutiche che non rispettano i patti. Ad accomunare i presenti al tavolo c’è la preoccupazione per una pandemia che imperversa e una campagna vaccinale che non decolla. Il nuovo governo sta provando a dare una spinta, sia sul fronte della produzione di vaccini che su quello del loro utilizzo, dando priorità alle prime dosi. Ma serve l’Europa. Ecco perché Draghi prova a giocarsi da subito il capitale di credibilità, accumulato negli anni alla Bce, per sollecitare una spinta corale che permetta di recuperare il tempo perduto.
Angela Merkel ed Emmanuel Macron, che fin da subito hanno espresso con forza a Draghi il desiderio di lavorare insieme per il rilancio dell’Europa, concordano sulla necessità di dotarsi di infrastrutture che permettano di produrre i vaccini in maniera stabile, per fronteggiare questa ed eventuali pandemie future. Il presidente del Consiglio italiano assicura che Roma è impegnata non solo sulla risposta immediata, ma darà un contributo alla risposta globale di lungo periodo alle nuove pandemie anche nel “Global Health Summit”, in programma in primavera co-organizzato con la Commissione europea in connessione con la presidenza italiana del G20. Il tema di dotarsi di infrastrutture per la produzione di vaccini è stato anche al centro dell’incontro tra il ministro dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti, il presidente di Farmindustria Massimo Scaccabarozzi, il presidente dell’Aifa Giorgio Palù e il commissario straordinario Domenico Arcuri. È emersa l’esistenza di alcuni siti dove si può immaginare la riconversione degli impianti per la produzione di vaccini. Il nodo, tuttavia, è la scarsa presenza di bioreattori. Il governo è al lavoro per verificare la possibilità dell’uso di bioreattori esistenti o di produrli ex novo con l’intenzione di stanziare risorse e organizzare siti. Quelli possibili sono in Veneto, Lazio e Puglia. I tempi però non sono brevi: vanno dai 4 ai 12 mesi e, per il know how, 6 mesi. Il ministro Giorgetti a conclusione dell’incontro su questo punto è stato chiaro: «Non è una cosa semplice questo processo di riconversione. Dal governo c’è la totale disponibilità di strumenti normativi e finanziari per raggiungere l’obiettivo della produzione di vaccini in Italia». Farmindustria dal canto suo ha offerto tutta la disponibilità: «L’industria italiana è pronta a questo progetto di grande collaborazione, per far sì che si sfruttino tutte le possibilità per dare il nostro contributo, perché’ il vaccino è un bene che tutti stanno aspettando», ha affermato Scaccabarozzi.
In arrivo anche un’ulteriore novità: sarebbe infatti pronto il parere dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) con il quale l’agenzia darebbe il via libera alla possibilità di somministrare un’unica dose di vaccino ai soggetti che hanno già contratto il virus SarsCov2 ed hanno dunque sviluppato una certa quota di immunità. Sulla base del parere, il ministero della Salute dovrebbe diramare successivamente una circolare. La grande sfida, però, non è più solo riuscire ad aumentare a livello mondiale la produzione di vaccini anti-Covid, ma anche attrezzarsi velocemente contro le varianti del virus SarsCov2. Un cambio di scenario di cui Big Pharma è ben consapevole e per questo è iniziata la corsa delle grandi aziende farmaceutiche alla messa a punto di vaccini modificati in grado di neutralizzare anche le mutazioni del nuovo coronavirus. È il caso, tra le altre, di Moderna e Pfizer. Rispetto alla variante inglese, al momento la più diffusa, i vaccini in uso sembrano avere efficacia.
Maggiori timori si hanno invece per le varianti brasiliana e sudafricana. Un primo risultato in tal senso arriva dall’americana Moderna, che ha appena annunciato di aver consegnato delle dosi del suo candidato vaccino specifico contro la variante sudafricana al National Institutes of Health (NIH) statunitense e presto sarà avviato lo studio clinico. Pfizer e Biontech stanno invece valutando se aggiungere una terza dose nella somministrazione del proprio e stanno studiando una nuova versione del prodotto che sia efficace contro la variante sudafricana. Anche AstraZeneca ha avviato ricerche per la produzione di una nuova versione del vaccino tarata in modo più specifico sulle varianti e che dovrebbe essere pronta in autunno.
Fonte Doctor 33