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L’Accademia di Medicina di Torino ha organizzato una seduta scientifica dal titolo “Tumori cutanei: dalla prevenzione alle terapie innovative”. Maria Teresa Fierro, professore di Dermatologia all’Università di Torino e Direttore della Struttura Complessa di Dermatologia presso Città della Salute di Torino dal 2013, illustra epidemiologia e prevenzione delle neoplasie primitive della cute. Costituiscono un gruppo eterogeneo di manifestazioni che presentano differenti aspetti clinici, immuno-patologici e bio-molecolari. Accanto a forme caratterizzate da un decorso favorevole e da una malignità pressoché esclusivamente locale (quali il carcinoma basocellulare o BCC, il 67% dei tumori

cutanei) sono comprese forme invece che presentano un decorso più aggressivo (carcinoma spinocellulare o SCC, il 22% dei tumori cutanei) o con rischio elevato di metastizzazione soprattutto in presenza di diagnosi tardiva (quali il melanoma, 11% dei tumori cutanei o il carcinoma di Merkel). E’ fondamentale la diagnosi precoce e di un altrettanto tempestivo trattamento per lo più chirurgico. Negli ultimi anni abbiamo assistito in tale campo ad una migliore definizione dei percorsi di diagnosi precoce (epiluminescenza digitale e microscopia a laser confocale) e terapica chirurgica (in particolare nel melanoma con le modifiche nella gestione della malattia regionale che non prevede più l’esecuzione della dissezione radicale in tutti i casi).
Non si tratta di tumori rari. Nel 2020 sono attesi 15 mila nuovi casi in Italia, nella fascia 20-40 anni è al secondo posto per incidenza fra i maschi, al terzo posto per le femmine. I decessi attesi sono circa due mila. L’incidenza del melanoma nel 1970 era pari a 1,86 casi su cento mila persone, sale nel 2015 a 24,1. I “non-melanoma skin cancer” (NMSC, tumori della cute non melanomatosi) nel 2013 sono presenti in più di cento casi ogni cento mila persone. Tra il 20 e il 25% si tratta da carcinoma squamocellulare (SCC) con 19 mila nuovi casi nel 2018. Quali sono i fattori di rischio? Tra i fattori esogeni emerge l’esposizione solare intensa e intermittente, anche l’esposizione alla lampada abbronzante. Tra i fattori endogeni, occorre considerare i vari fototipi della razza caucasica, il numero di nevi o nevi atipici, la familiarità. L’analisi dei fototipi considera il tipo di risposta della pelle all’esposizione solare. Nei fototipi 1 e 2 la pelle chiara si ustiona più facilmente. La prevenzione primaria consiste nel ridurre l’incidenza del tumore agendo sulle cause di rischio. La prevenzione secondaria richiede campagne di “screening” per aumentare la percentuale di diagnosi precoce. Per un 10% influisce il fattore di familiarità. Il gene CDKN2A ha mutazioni presenti nel 25% di tutti i casi di melanoma ereditario. Uno studio di Lin J. del 2011 enuclea tra i fattori di rischio esogeni sei o più episodi di ustione solare nell’infanzia, la cute dei bambini è più sensibile al sole, la fotoprotezione riduce l’insorgenza di nuovi nevi per il 30-40%. I fattori di rischio aumentano per chi lavora nell’industria petrolifera o chimica (pesticidi). Le radiazioni UV hanno l’effetto positivo di sintetizzare la vitamina D ma provocano un fotoinvecchiamento da UVA. Il 65% dei melanomi e il 90% dei NMSC sono legati alle radiazioni solari. L’utilizzo di lampade abbronzanti causa un aumento di rischio di melanoma di 20 volte. Un modo di proteggersi è l’abbigliamento, l’UPF indica in Usa e Australia il fattore di protezione dai raggi ultravioletti. Popoli tuareg nel deserto indossano lunghi abiti di tessuto scuro per proteggersi dal sole e dal caldo. L’abbronzatura è una reazione di difesa naturale della pelle. I melanociti sintetizzano melanina in quantità superiore. Assorbe i raggi solari e crea uno schermo protettivo. I fotoprotettori contengono filtri chimici che assorbono le radiazioni. Si raccomanda un fattore SPF (Sun Protection Factor) superiore a 50 e almeno la scritta “water resistant” (40 minuti). Per quanto riguarda i filtri chimici, l’Oxybenzene è il filtro UVA più utilizzato. Tra i filtri fisici, vi sono sostanze minerali (ossido di zinco, diossido di titanio): polveri bianche dal forte potere coprente. La prof.ssa Fierro presenta campagne di prevenzione come “Il Sole per Amico” per insegnare il modo corretto di esporsi al sole.
La prevenzione secondaria si basa sulla regola dell’ABCDE, l’Asimmetria della lesione, i Bordi irregolari e frastagliati, il Colore del margine (nero, rosso bruno, rosa), le Dimensioni (o diametro), l’Evoluzione rapida. Quanto agli strumenti i dermatoscopi digitali permettono di acquisire informazioni e di effettuare un controllo preciso nel tempo, per es. per i pazienti con cento nei atipici per cui risulta difficoltoso il “follow up”. Si introduce il concetto del sistema classificativo secondo Breslow, basato sull’effettivo spessore del melanoma maligno misurandone la profondità dallo strato granuloso della cute fino al punto di massima infiltrazione.
Il carcinoma basocellulare (BCC) è una neoplasia a lenta crescita, rappresenta il 70% dei tumori maligni, solo l’1% presenta patologia avanzata. Non sono suscettibili di exeresi chirurgica, il carcinoma spinocellulare è più aggressivo, può avere forma verrucosa o cheratoacantoma. Il mucosale è il caso descritto da Pirandello nel dramma “L’uomo dal fiore in bocca” (1923). Il 90% dei pazienti presenta guarigione completa dopo 5 anni.
La classificazione ACJJ (American Joint Committee on Cancer, VIII^ edizione) intende con T lo spessore (T1 inferiore a 1 mm), a/b indica la presenza o meno di ulcere, N riguarda il coinvolgimento linfonodale, M le metastasi. Si individuano quattro stadi. La prima sede risulta essere il linfonodo regionale o sentinella per cui si procede alla biopsia (un 20% salta il linfonodo regionale per una disseminazione per via ematica). La malattia ha una progressione del 15-35% nei primi 3-5 anni ma per un 2-3% le metastasi si sviluppano a distanza anche dopo dieci anni. In presenza di una biopsia positiva del linfonodo regionale si procedeva ad un’exeresi radicale dei linfonodi regionali. Una “rivoluzione” è stata determinata da uno studio pubblicato sul New England Journal of Medicine (2017), la dissezione radicale non aumenta la sopravvivenza.
