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Secondo uno studio pubblicato su Frontiers in Immunology, il genotipo Hla-I di una persona sarebbe collegato alla gravità con cui si manifesta l’infezione da Sars-CoV-2. «Nella normale risposta immunitaria, la presentazione di peptidi virali sulla superficie delle cellule infette viene seguita dall’attivazione dei linfociti T. La capacità di presentare con successo i peptidi virali è in gran parte determinata dalla genetica» afferma Alexander Tonevitsky, della Hse University, e della Russian Academy of Sciences di Mosca, Russia, autore senior dello studio. «Nelle cellule umane, infatti, le molecole dell’antigene leucocitario umano di classe I (Hla-I), che si trasmettono nel patrimonio genetico, sono responsabili di questa presentazione. Se esse funzionano bene, le cellule immunitarie rileveranno e distruggeranno rapidamente le cellule infette; in caso contrario, le malattie si svilupperanno in forma più grave» prosegue.
I ricercatori, tramite l’apprendimento automatico, hanno costruito un modello che fornisce una valutazione integrale del possibile potere della risposta immunitaria dei linfociti T a Covid-19. Analizzando la situazione, hanno osservato che gli individui in cui l’insieme di alleli Hla-I consente una presentazione efficace dei peptidi del virus Sars-CoV-2 hanno ricevuto un punteggio di rischio basso per la malattia grave, mentre le persone con capacità di presentazione inferiori hanno ricevuto punteggi di rischio più elevati. Per convalidare il modello, sono stati analizzati i genotipi di oltre 100 pazienti di Mosca che avevano sofferto di Covid-19, e di oltre 400 persone sane utilizzate come gruppo di controllo. Gli esperti hanno notato che il punteggio di rischio ottenuto nel modello è stato molto efficace nel predire la gravità del Covid-19 in tale gruppo, e lo hanno voluto applicare anche su un campione di pazienti di Madrid, in Spagna. L’alta precisione della previsione è stata confermata anche su questo campione indipendente; infatti, il punteggio di rischio dei pazienti affetti da Covid-19 grave è risultato significativamente più alto rispetto a quello dei pazienti con casi moderati e lievi della malattia. «Il nostro approccio aiuta anche a valutare come una certa mutazione della malattia possa influenzare lo sviluppo dell’immunità dei linfociti T al virus. Ad esempio, saremo in grado di rilevare gruppi di pazienti per i quali l’infezione con nuovi ceppi di Sars-CoV-2 può portare a forme più gravi della malattia» concludono gli autori.
Frontiers in Immunology 2021. Doi: 10.3389/fimmu.2021.641900
https://doi.org/10.3389/fimmu.2021.641900