Covid-19, dati incoraggianti sull’uso di eparina. Anche a domicilio ma con cautela

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«Seppur sia sconsigliabile un uso standard dell’eparina all’inizio dei sintomi di Covid a casa, tuttavia su un paziente con febbre, dispnea, tosse e soprattutto allettato da 2-3 giorni la profilassi antitrombotica va considerata perché in situazione flogistica il rischio cresce». L’indicazione arriva da Gualtiero Palareti presidente della Fondazione Arianna Anticoagulazione e docente di Malattie cardiovascolari all’università di Bologna.

La Fondazione, attraverso la piattaforma GhevaMed anima il registro retrospettivo Start-Covid, insieme alle unità operative coinvolte nel trattamento della patologia degli Ospedali Niguarda e al gruppo Emo-Covid di Bergamo. E in un webinar dei giorni scorsi, con il sostegno Italfarmaco, giunge a conclusioni parallele al documento della Società di medicina generale Simg con l’Istituto Spallanzani, che da una parte sposa la raccomandazione Aifa di trattare pazienti con sintomi respiratori acuti e ridotta mobilità, dall’altra implicitamente sottolinea come tale ridotta mobilità non sia da considerarsi uno stato permanente (“i pazienti Covid sono spesso costretti a letto per diverse settimane, con un rischio maggiore di eventi tromboembolici”).
I dati esposti dalla dottoressa Daniela Poli vicepresidente della Federazione dei Centri per la diagnosi della trombosi e per la Sorveglianza della terapia con anticoagulanti, dell’Aou Careggi di Firenze, si riferiscono peraltro a un’indagine condotta su 1091 pazienti seguiti in ospedale, o meglio, nei reparti non intensivi di 30 centri ospedalieri di tutta Italia, con prevalenza delle aree ad alta incidenza, tra marzo e giugno 2020, quindi nel picco pandemico dello scorso anno. Età mediana del campione 71 anni, al 60% maschi (più alta l’età media delle donne ricoverate). Il 37% dei soggetti non aveva comorbidità, il 52,2% era iperteso, un 5% o poco meno seguiva già una terapia anticoagulante, un 17,4% soffriva di diabete, un 23,3% di insufficienza renale, un 13,9% di cancro, un 10% di bronchite cronica, e ancora: 7,6% fibrillazione atriale, 10% coronaropatia. I sintomi erano nel 73% dei casi febbre, nel 53% dispnea e nel 41% tosse. Durante il ricovero ha ricevuto anticoagulante (nel 92% dei casi enoxaparina iniettiva) il 71% dei pazienti e il 29 non lo ha ricevuto. Le terapie orali preesistenti dove c’erano sono state sospese per non interferire con gli antivirali.
Dei pazienti trattati, il 70% ha ricevuto terapia profilattica, a dosi più basse rispetto a pazienti con rischio trombosi o in trattamento che hanno ricevuto dosaggi terapeutici (9%) o subterapeutici (12%). I risultati sono innanzi tutto positivi in termini di complicanze, con uno 0,2% di sanguinamenti maggiori registrato e quasi sempre (3% dei casi) a fronte di dosaggio maggiore, terapeutico o subterapeutico, contro un 0,7% per il dosaggio profilattico. La letalità nel complesso è stata del 18,3%, mentre in un 7,8 dei casi l’aggravamento delle condizioni ha portato il 7,8% dei ricoverati in terapia intensiva e il 73,9% ha avuto un esito favorevole: il primo fattore di rischio è l’età, quella media dei deceduti è 83 anni (il vaccino serve!) contro i 68 di chi è uscito “rapidamente” dall’ospedale. Ma tra i pazienti trattati con anticoagulanti si evidenzia un calo dei decessi del 27%, e nella fascia oltre i 59 anni – la più rappresentata e clinicamente idonea – il calo di mortalità è del 60%. Il trattamento antitrombotico si associa a un calo brusco della mortalità. Questo in ospedale.

Sul territorio – ammette Palareti – non ci sono ancora indicazioni consolidate sull’uso e i vantaggi dell’eparina ai fini del contenimento dell’infezione da Covid trattato a domicilio. Ma i medici di famiglia già al tempo del primo picco stavano trattando, in quanto – testimonia Poli – un 23% dei pazienti ricoverati stava già ricevendo terapia anticoagulante profilattica, quella applicata per ridurre la flogosi. La percentuale potrebbe essere aumentata anche se mancano per il momento letteratura e dati idonei dalla medicina territoriale. In particolare, servirebbe monitorare il continuum dei pazienti trattati tra ospedale e territorio. Intanto, lo studio Start-Covid prosegue.

Fonte Doctor 33

 

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