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Le resistenze personali ai vaccini potrebbero minare la campagna e prolungare oltre il sopportabile i lock-down. Per capire di più il digital meeting “il Mondo farmaceutico e i pazienti” organizzato per la III Giornata in Piazza AFI con la collaborazione di Regione Lombardia ha messo insieme l’infettivologo Massimo Galli, la responsabile Ufficio sperimentazioni cliniche AIFA Sandra Corvaglia, l’esperta di politiche regolatorie Paola Minghetti (UniMi) e le ricercatrici Vanessa Gregorc (San Raffaele) e Loredana Bergamini (Janssen), proprio mentre le agenzie confermavano l’ipotesi dell’EMA di una potenziale relazione tra vaccino AstraZeneca e trombocitopenia. La conclusione è che comunque i benefici superano abbondantemente i rischi; questi ultimi, come ha sottolineato Corvaglia, sarebbero pari allo 0,00072% dei soggetti vaccinati, contro un rischio morte per Covid-19 da scongiurare pari al 3% circa dei contagi. Calcoliamo che per ogni presunto decesso da vaccino ne registreremmo 4200 da virus. L’incontro è l’occasione per un punto sulle domande più frequenti specie tra i pazienti fragili iscritti alle associazioni di tutela.
C’è farmacovigilanza sui vaccini? Sì, e vale su tutti i vaccini e su tutti i tipi di effetti avversi riferiti al medico, che dovrà compilare il modulo AIFA specifico, o dal paziente stesso in modo diretto su un form che l’Agenzia del Farmaco mette a disposizione; il dato, spiega Corvaglia, è condiviso con il produttore e con i centri di farmacovigilanza europei e britannici. Analogo monitoraggio è previsto per tutti i farmaci sintetici e biologici, anticorpi monoclonali inclusi.
Quali vaccini preferire su un paziente fragile? Al momento, a fronte di effetti collaterali tutto sommato simili, i vaccini disponibili sono pochi per tutti e non si possono fare preferenze. I vaccini a mRNA (cioè con quella parte del virus contenente le istruzioni per produrre la proteina usata dal virus per attaccarsi alle cellule) avrebbero un’efficacia lievemente maggiore di quelli a vettore virale, ma ci sono pochi dati per concludere che un paziente che sta meno bene abbia più bisogno di Pfizer o Moderna.
Il consenso informato per chi si vaccina quali diritti dà? Il consenso informato in realtà per i vaccini non esisterebbe. Infatti, spiega Corvaglia, di norma è chiesto a fronte di trattamenti sperimentali e non di farmaci autorizzati in commercio quali i vaccini sono. Chi si vaccina legge ed integra un’informativa dove gli si elencano gli effetti del vaccino e gli si chiede una firma attestante la sua comprensione delle informazioni offerte prima dell’inoculo, in quanto si è presentato al centro vaccinale non per obbligo ma per sua scelta.
Esiste un nesso tra vaccini e trombosi? Per l’EMA non si può escludere, ma nemmeno evidenziare. Nei soggetti vaccinati non si va oltre le incidenze di trombocitopenia riscontrate sulla popolazione generale. «Se io vaccino un milione di donne gravide in un anno avrò 394 decessi tra quelle donne, ma non per il vaccino, bensì per il fatto che quella è l’incidenza annua dei decessi attesi anche senza vaccino su un milione di donne in gravidanza», esemplifica Galli. E sottolinea: «Nei dati tedeschi l’anomalia però c’è e riguarda l’incidenza relativamente alta su vaccinate sotto i 50 anni».
Quanto dura l’immunità? I vaccini oggi inoculati sono testati sul virus originario di Wuhan 2019, ormai mutato in più varianti che possono condizionare la durata della protezione da parte degli anticorpi che si formano dopo l’inoculo. Il virus si sta attrezzando e occorrerebbe farlo circolare di meno per scongiurare la circolazione di ceppi modificati che può rendere inutile il vaccino.
I vaccinati possono ammalarsi? Sì, esattamente come chi ha già fatto il Covid, ma si sviluppa, stando alle osservazioni, al più una malattia moderata, curabile a casa. Meno il contagio è recente, è la posizione di Galli, più servirebbe vaccinare anche chi ha già avuto il Covid-19.
I pazienti oncologici vanno vaccinati? Senza dubbio, spiega Gregorc: il tasso di letalità associato al virus in questi malati è amplificato dal danno d’organo esistente o dalla terapia seguita, spesso immunosoppressiva. Chi è immunosoppresso, aggiunge Galli, va vaccinato, ma anche monitorato con attenzione; è dubbio – in particolare – che possa riprendere subito terapie immunosoppressive che in teoria potrebbero vanificare l’effetto del vaccino.
E se producessimo il vaccino in Italia? Non è facile. Lo spiegano la professoressa Minghetti e Maria Luisa Nolli Ad di NCN Bio. In Italia siamo ottimi produttori di farmaci di sintesi mentre i vaccini sono farmaci biologici, hanno bisogno di processi produttivi diversi. Esistono tecnologie che consentono riconversioni produttive relativamente rapide ma che in ogni caso necessitano del tempo. E per vaccinare gli italiani si lotta proprio contro il tempo.
Fonte Doctor 33