Lavorare molte ore rappresenta un rischio maggiore per chi ha già avuto un infarto

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Secondo uno studio pubblicato su Journal of the American College of Cardiology, il rischio di eventi di malattia coronarica (CDH) ricorrente potrebbe aumentare nei pazienti che dopo un infarto del miocardio lavorano più di 55 ore a settimana. «Lunghe ore di lavoro dovrebbero essere valutate come parte delle prime e successive visite cliniche di follow-up in modo da migliorare la prognosi dei pazienti che tornano a lavorare dopo un attacco di cuore» ha affermato Alain Milot, della Laval University, ultimo nome dello studio. Secondo l’International Labour Office circa un quinto dei lavoratori nel mondo lavora oltre le 48 ore a settimana.

Anche se l’effetto nocivo delle lunghe ore di lavoro sulla salute cardiovascolare era già stato valutato, non c’erano studi che ne esaminavano l’impatto sul rischio di eventi di CDH ricorrente in pazienti che avevano vissuto un infarto. Nel nuovo studio prospettico, con un follow-up medio di 5,9 anni, sono stati così inclusi 967 adulti tra i 35 e i 59 anni rientrati al lavoro dopo un primo infarto. In base alle ore settimanali di lavoro sono stati formati 4 gruppi: part-time (21-34 ore), full-time (35-40 ore), straordinario basso (41-54 ore) e straordinario medio/alto (≥55 ore). Ebbene, nel periodo di studio il 21,2% dei partecipanti ha subito un evento di CDH ricorrente. Gli uomini erano sovrarappresentati tra i soggetti con più ore di lavoro, così come i lavoratori più giovani. Caratteristiche più comuni in questo gruppo erano fattori di rischio CDH, come ipertensione e diabete, alcune abitudini come abitudine al fumo, il consumo di alcol e l’inattività fisica, e alcune situazioni dell’ambiente lavorativo, come tensioni e basso supporto. Anche dopo aver tenuto in considerazione diverse covariate, i partecipanti nel gruppo che lavorava più ore avevano un rischio maggiore di eventi di CDH ricorrente rispetto a quelli che lavoravano 35-40 ore. Il rischio associato a una settimana lavorativa di ≥55 ore aumentava notevolmente in entità dopo 4 anni di follow-up, soprattutto quando presente in combinazione a una tensione lavorativa.
I meccanismi possono essere diversi secondo Milot, e tra questi si possono includere gli effetti nocivi di un’esposizione prolungata a fattori di stress lavorativi. L’autore fa notare anche che ricerche precedenti hanno mostrato come i lavoratori con lunghe ore di lavoro hanno abitudini di vita poco salutari. «È urgentemente necessario incorporare i servizi di medicina del lavoro nei programmi di riabilitazione cardiaca e nella prevenzione secondaria della CHD» si legge in un editoriale correlato.

J Am Coll Cardiol 2021. Doi: 10.1016/j.jacc.2021.02.012
https://www.jacc.org/doi/full/10.1016/j.jacc.2021.02.01n2
J Am Coll Cardiol 2021. Doi: 10.1016/j.jacc.2021.02.020
https://www.jacc.org/doi/10.1016/j.jacc.2021.02.020

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