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Pur rimanendo in vigore l’odierna nomenclatura scientifica delle mutazioni, l’OMS ha rinominato con lettere greche le diciture fino ad ora utilizzate, che associavano la variante al luogo in cui era stata identificata per la prima volta: inglese, sudafricana, brasiliana e la indiana.
Secondo la dottoressa Elena Azzolini, della Direzione Medico Sanitaria di ‘Humanitas’, la riproduzione di un virus implica la creazione di un ‘genoma’ cioè di molte copie dello stesso e del suo patrimonio genetico, un processo che porta con sé la possibilità che si verifichino errori, le cosiddette ’mutazioni’.
SARS-CoV–2 è un virus particolarmente predisposto alle mutazioni (così come la famiglia Coronavirus cui appartiene) e fin dall’inizio della pandemia se ne sono osservate diverse in tutto il mondo.
Perciò, che i virus mutino è un fenomeno naturale e previsto, va da sé che le mutazioni dovranno essere monitorate ed attentamente studiare.
Talvolta infatti, le varianti possono influire sulle caratteristiche del virus, conferendogli per esempio una maggiore possibilità di trasmissione, di aggressività, un’accresciuta capacità di mettere in atto forme severe di malattia, o addirittura di superare l’immunità acquisita da un individuo grazie alla vaccinazione, o alla pregressa contrazione dell’infezione.
Le varianti di SARS-CoV–2 vengono distinte in due categorie principali: le varianti preoccupanti (VOC – Variants of Concern) e le varianti di interesse (VOI – Variants of Interest)
Si definiscono VOC le varianti che sono associate a uno, o più dei seguenti aspetti con una certa rilevanza per la salute pubblica globale: aumento della trasmissibilità con una maggior capacità dell’infezione di diffondersi da una persona all’altra; aumento della virulenza, o cambiamento nella presentazione clinica della malattia; diminuzione dell’efficacia della sanità pubblica e delle misure sociali adottate o della diagnostica, delle terapie o dei vaccini disponibili nel contrastare la pandemia.
Le varianti di Interesse hanno caratteristiche tali da richiederne l’osservazione ed il monitoraggio, perché potrebbero impattare in modo significativo sulla trasmissibilità del virus, sulla gravità di malattia e/o sull’immunità, ma non destano ancora preoccupazione.
Fino a poco tempo fa, le varianti che hanno destato preoccupazione sono state:
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Alpha (B.1.1.7), isolata per la prima volta nel Regno Unito nel settembre 2020.
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Beta (B.1.351), isolata per la prima volta in Sudafrica nel maggio 2020.
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Gamma (P.1), individuata per la prima volta in Brasile nel novembre 2020.
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Delta (B.1.617.2), individuata per la prima volta in India nell’ottobre 2020.
Oggi, 11 sono le varianti sotto osservazione del virus SarsCoV2 e di queste, a preoccupare di più sono 5, tutte diffuse ormai in decine di Paesi di tutto il mondo. L’ultima arrivata è la Epsilon, che un articolo pubblicato sulla rivista ‘Science’ considera a tutti gli effetti una delle varianti che destano preoccupazione, le cosiddette Voc (Variants of concern). A farla salire nella classifica sono le caratteristiche della sua proteina Spike, l’artiglio molecolare con cui il virus si aggancia alle cellule, che comprende ben tre mutazioni che la rendono resistente agli anticorpi, sia a quelli generati dal vaccino, sia a quelli generati dall’infezione.
Dunque, dopo la variante Delta, ormai diffusa in un centinaio di Paesi, la Epsilon si presenta con un bagaglio di mutazioni che l’ha fatta entrare nel gruppo delle varianti del virus SarsCoV2 che destano preoccupazione, le cosiddette Voc (Variants of concern). A rilevare le mutazioni è la ricerca coordinata dal biochimico Matthew McCallum, dell’Università di Washington, a Seattle, e pubblicata sulla rivista ‘Science’.
Identificata per la prima volta in California, la variante Epsilon è ancora poco diffusa in Europa e sono solo due i casi rilevati in Italia secondo la banca internazionale Gisaid, che raccoglie le sequenze genetiche dei virus.
Lo studio pubblicato su Science vuole sottolineare l’importanza del sequenziamento come una delle armi più importanti per contrastare la circolazione del virus. L’analisi coordinata da McCallum si basa sull’analisi di 57 campioni, ha osservato ben tre mutazioni che la rendono resistente agli anticorpi e che si trovano sulla proteina Spike, l’artiglio che il virus usa per entrare nelle cellule.
I dati indicano che, con le sue tre mutazioni, la variante Epsilon è resistente sia agli anticorpi generati dai vaccini a Rna messaggero sia a quelli generati dall’infezione da virus SarsCoV2. Le osservazioni pubblicate si basano sull’analisi del plasma prelevato da 15 persone vaccinate con due dosi di Moderna, da 33 vaccinate con due dosi di Pfizer-BioNtech e da 9 che avevano avuto l’infezione da SarsCoV2.
Segnalata all’inizio del 2021 in California, in maggio la variante Epsilon era diffusa in altri 34 Paesi e secondo la banda dati Gisaid relativi alle ultime quattro settimane è ormai presente in 44 Paesi, dagli Stati Uniti alla Corea del Sud, all’India e al Giappone. In Europa sono stati rilevati casi in Danimarca (37 casi), Germania (10), Irlanda e Francia (7), Olanda e Spagna (5), Svizzera (4), Norvegia (3), Svezia, Finlandia e Italia (2), Belgio
Al momento l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) e i Centri per il controllo delle malattie (Cdc) degli Stati Uniti includono nel gruppo delle Vco le varianti Alfa, Beta, Gamma e Delta. In entrambe le liste la Epsilon è ancora inclusa nel gruppo delle varianti sotto osservazione, le cosiddette Voi (Variants of Interest).
Riguardo l’efficacia dei vaccini ad oggi in uso, la questione è piuttosto complessa ed è necessario tenere in considerazione diversi aspetti.
In primis, è bene ricordare che il virus continuerà a mutare e che sebbene la stragrande maggioranza delle varianti non desteranno alcun interesse, alcune potrebbero invece avere un impatto più o meno significativo sulla pandemia in corso. Pertanto le combinazioni tra vaccini e varianti sono (e potrebbero essere in futuro) molteplici.
In termini di immunità nei vaccinati, c’è poi differenza tra l’aver ricevuto una sola dose di vaccino o aver completato il ciclo vaccinale e questo è un altro elemento di cui tener conto rispetto alla protezione offerta dai vaccini.
Dalle osservazioni rilevate, al netto della risposta individuale, la protezione è massima dopo la seconda dose.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità, per voce del suo Direttore Regionale per l’Europa, il dottor Hans Henri P. Kluge, ha recentemente rassicurato sul fatto che: “Tutte le varianti del virus si ritiene ‘possano’ essere controllate allo stesso modo, con misure sanitarie e sociali. Le quattro varianti del virus emerse finora sembrerebbero rispondere ai vaccini disponibili ed approvati”.
Con il passare dei mesi, verranno messi a punto nuovi vaccini per prevenire COVID–19 e in alcuni casi si sta già lavorando per renderli efficaci anche contro le varianti.
Alcune aziende, inoltre, stanno già studiando la possibilità di una dose ulteriore contro le varianti, da somministrare ai soggetti già vaccinati.
La priorità resta dunque proseguire a ritmo sostenuto con la campagna vaccinale: tutti i vaccini al momento disponibili offrono una protezione significativa contro le forme gravi di COVID–19 e ridurre la circolazione del virus permette anche di limitare la probabilità che questo muti e produca varianti preoccupanti e sensibilmente refrattarie.
FONTI:
-humanitas.it
-unric.org
-sciencemag.org
-consilium.europa.eu
-salute.gov.it
-geco.deib.polimi.it
-frontiersin.org