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Il rene bionico è tra gli strumenti artificiali che maggiormente potrebbero migliorare l’esistenza di tutti quei pazienti che soffrono di una scarsa efficienza delle funzioni renali.
Questo dispositivo funzionerà attraverso il battito cardiaco, liberando i malati dalle macchine per l’emodialisi e dando una speranza a tutti coloro che sono in attesa di un trapianto.
Una volta impiantato nel corpo del paziente, il rene bionico o artificiale sarà in grado di fare il filtraggio del sangue in modo continuo, permettendo ai malati di non dover trascorrere molte ore in ospedale, con cadenza settimanale, per sottoporsi all’emodialisi.
Il funzionamento avverrà tramite un microchip in silicio, presente all’interno del “nuovo” rene, che funzionerà come filtro.
Addio all’emodialisi (?)
La perdita irreversibile e progressiva della funzione renale si associa alla emodialisi, ovvero il trattamento che si rende necessario quando la funzione renale è gravemente compromessa.
Un trattamento che salva la vita ma che porta con sé effetti collaterali come crampi muscolari, ipo/iper-tensione e stanchezza, oltre a dover essere portato avanti per tutta l’esistenza del malato.
Ogni settimana il paziente si deve sottoporre, dalle 3 alle 5 ore, all’emodialisi.
Motivi per i quali è auspicabile l’arrivo, al più presto, di un rene artificiale.
Rene bionico: a che punto siamo?
Se fino a pochi anni fa la soluzione più comoda per sostituire la dialisi tradizionale era quella domiciliare o (per pochi fortunati) la donazione di un rene, ultimamente abbiamo assistito a sviluppi importantissimi per quanto riguarda i reni bionici o artificiali.
A giugno del 2008 l’Università del Michigan sviluppò il RTAD (Renal Tubule Assist Device), un prototipo di quello che sarebbe poi diventato il rene artificiale. Si trattava di un dispositivo esterno, collegato all’ unità standard di emofiltrazione e inizialmente era utilizzato, in via sperimentale, su pazienti con insufficienza renale acuta.
Nel novembre 2019, nel corso dell’American Society of Nephrology Kidney Week, Shuyo Roy (PhD alla UCSF Schools of Pharmacy) e il dottor William H. Fissel hanno presentato un dispositivo, strutturato su un sistema di filtrazione del sangue e un bioreattore il quale, attraverso cellule renali umane in coltura, rende possibili azioni che vanno dal mantenimento di un adeguato volume di fluido e pressione del sangue fino alla produzione di ormoni essenziali.
Un rene artificiale (dalle dimensioni pressoché simili a quelle dell’organo sostituito) impiantato, secondo quanto riportato dai ricercatori stessi, nei suini senza rilevanti reazioni avverse. ‘[…] un dispositivo bio-ibrido – ha dichiarato il dottor Fissel, nefrologo e professore dell’Università statunitense Vanderbilt di Nashville – in grado di sostituire il rene e capace di eliminare un numero sufficiente di detriti in modo tale che il paziente possa evitare la dialisi’.
Già nel settembre 2020 il dispositivo stava entrando in fase di test sugli esseri umani, con i pareri confortanti da parti dei ricercatori, dopo che quest’ultimi avevano lavorato al ridimensionamento del bioreattore per renderlo grande quanto quello di un rene umano.
Questo dispositivo è composto da due parti: l’emofiltro, che si occupa di filtrare il sangue, e il bioreattore, contenente le cellule renali umane in coltura, con le funzioni specifiche di mantenere adeguato il volume del fluido e della pressione sanguigna e di regolare i livelli sia dei sali che degli ormoni essenziali.
L’obiettivo è naturalmente quello di migliorare la qualità della vita delle persone che soffrono da deficienze renali, garantendogli un flusso continuo di sangue ed evitandogli lunghe visite ospedaliere.
Questo, di fatto, eliminerebbe l’emodialisi, la terapia sostitutiva della funzionalità renale, che ad oggi rappresenta (attraverso l’utilizzo di uno specifico macchinario) ancora l’unica speranza di salvezza per i malati, assieme al trapianto di rene.
Il futuro del rene bionico
Riguardo al futuro c’è ottimismo ma occorre anche armarsi di pazienza. Bisogna infatti ancora attendere l’approvazione da parte della FDA (Food and Drug Administration, l’ente governativo statunitense che si occupa della regolamentazione dei prodotti alimentari e farmaceutici) per quanto riguarda la sicurezza del dispositivo.
Uno strumento che in forma portatile o impiantabile potrebbe essere pronto nell’arco dei prossimi 5-10 anni, portando così i malati a condurre una vita (il più possibile) normale.
Contemporaneamente alle ricerche negli Stati Uniti, anche in Europa (in particolare in Olanda) si stanno portando avanti degli studi in merito.
La Dutch Kidney Foundation sta attualmente lavorando con altri ricercatori di Imec presso l’Holst Center di Eindhoven per sviluppare un rene artificiale portatile che renda completamente superfluo il trattamento invasivo della dialisi renale.
Una tecnologia che la Kidney intende presentare entro la fine del 2021 e che, secondo Fokko Wieringa, responsabile della ricerca sul rene artificiale presso l’Imec, potrebbe portare alla disponibilità di ‘un rene artificiale impiantabile utilizzabile entro quindici anni circa’.
Una soluzione che, se arrivasse dall’Olanda, potrebbe rappresentare un’ideale chiusura del cerchio. Se è vero che il termine “dialisi” fu usato per la prima volta nel 1854 dal chimico della Glasgow University Thomas Graham che, insieme al dottor Richard Bright, descrissero per primi il concetto stesso di dialisi, fu il medico olandese Willem Johan Kolff tra gli artefici della primissima macchina per emodialisi, salvando il primo paziente con insufficienza renale acuta a Kampen il 18 settembre 1945.
E da quel giorno in poi, grazie a quella macchina, altre milioni di vite.
Fonti
Healthline
Fondazione Umberto Veronesi
Innovationorigins