Sensibilità– Etica – Chiarezza – Ascolto attivo – Gestione emozioni: L’importanza della comunicazione in terapia intensiva

Intervista al Dott. Enzo Primerano – Resp. Terapia Intensiva – Policlinico di Monza

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 Daniela Cavallini:

Dott. Primerano, grazie per essere con noi. Quest’occasione è preziosa per diffondere  l’importanza conferita dall’ambiente clinico al rapporto interpersonale tra medico-paziente-familiari, finalizzata alla coesione atta alla cura del paziente.

Aspetto una volta sottovalutato e rimesso alla sensibilità individuale del medico e degli operatori sanitari. Non le saranno certamente nuove affermazioni del genere “è un bravo medico, ma che cafone!” oppure “con il primario non si può parlare, è sempre di corsa, mi dedica due minuti, ma non capisco quello che mi dice, usa parole che non conosco”, “riesco ad avere notizie pregando la caposala, una bisbetica supponente, che vorrei vedere se fosse lei nelle mie condizioni”, ecc.

Viceversa, negli ultimi anni, stiamo assistendo ad un’inversione di tendenza, a sostegno della cultura comunicazionale, cui pare sia attribuita la dovuta importanza. E’ così?

Dott. Enzo Primerano:

Assolutamente sì. La sanità degli ultimi vent’anni è diventata sempre più d’eccellenza e di conseguenza molto più impegnativa oltre che competitiva. Di conseguenza è cambiato anche il rapporto medico-paziente passando dalla semplice prestazione sanitaria alla “presa in carico”  del malato più che della malattia e l’ingresso nella comunicazione del processo clinico del familiare o di chi poi se ne farà carico a domicilio (caregiver, badante, assistenza domiciliare). Questo tipo di approccio è ormai ben documentato essere di giovamento al processo di cura (migliore prognosi riduzione dei tempi e dei costi di ricovero) con beneficio per il singolo e per la comunità.

Daniela Cavallini:

Ora le chiedo di addentrarci nella più difficile tipologia di comunicazione, quella che la riguarda personalmente: riferire notizie infauste, ovvero quelle che implicano l’abolizione dei trattamenti curativi in favore di cure palliative atte esclusivamente ad una dignitosa dipartita.  Chi è preposto a tale ruolo e, soprattutto, come è tenuto ad esprimersi?

Dott. Enzo Primerano:

L’Anestesista Rianimatore è spesso coinvolto nel trattamento di malati con prognosi infausta. Per questo motivo, la capacità di comunicare notizie negative, inclusa la morte del paziente, costituisce un importante requisito professionale.

Al di fuori della Terapia Intensiva, l’Anestesista Rianimatore, si trova di fronte ad un paziente ed a familiari sconosciuti, con i quali deve instaurare in breve tempo una relazione che gli consenta di affrontare questioni di altissimo impatto emotivo quali i temi del fine vita.

La complessità delle informazioni da condividere necessita quindi di momenti dedicati e strutturati per dare e ricevere informazioni. Il colloquio deve avvenire in uno spazio fisico idoneo, come quello normalmente utilizzato per le notizie quotidiane ed in un momento temporale dedicato.

Quando l’Anestesista Rianimatore, consulente in Pronto Soccorso o in Reparti di Degenza Ordinaria, preso atto delle condizioni della persona trattata, decide per la limitazione dei trattamenti intensivi, dovrà spiegare personalmente al paziente e/o ai suoi familiari le motivazioni della sua scelta senza delegare ad altri tale compito.

Detta spiegazione prevede un iter atto ad alleviare per quanto possibile il succitato impatto emotivo. E’ pertanto seguita una procedura, strutturata in più fasi, quali la preparazione al dialogo, cui segue la verifica del livello d’informazione  della persona malata e dei familiari, l’accertamento in merito a quanto e cosa vogliono sapere il paziente ed i familiari. Su questa base, si pianificano le fasi successive.

Daniela Cavallini:

Cortesemente, le chiedo di illustrarci brevemente i contenuti pratici delle fasi elencate.

Dott. Enzo Primerano:

L’informazione sulle condizioni cliniche da parte dei medici ed il riportare la volontà di un paziente da parte dei congiunti sono il fondamento per la condivisione di ogni scelta terapeutica.

Un’informazione accurata, completa e comprensibile riguardo alle diverse opzioni terapeutiche crea un rapporto di fiducia che può aiutare ad accettare scelte anche difficili.

Cercando di rendere comprensibile la situazione a persone estranee al mondo ospedaliero e ascoltando eventuali perplessità, dubbi e paure, i medici e gli infermieri di Terapia Intensiva accompagnano e sostengono i congiunti nelle situazioni più critiche. Anche se le decisioni cliniche sono responsabilità finale dei medici, la condivisione delle informazioni riguardo alle cure di malattie molto complicate (procedure rischiose da eseguire, sospensione di trattamenti inutili o inefficaci, …) può renderle più tollerabili ai congiunti ed a tutti gli operatori.

Le decisioni fondamentali riguardo il trattamento dei pazienti in Terapia Intensiva non vengono mai prese da un singolo medico. Il lavoro di squadra, che rende possibile curare pazienti molto gravi, implica un confronto quotidiano all’interno dello staff medico ed infermieristico in Terapia Intensiva. La collegialità di ogni decisione ed il confronto con specialisti esterni sono le migliori garanzie che le scelte terapeutiche siano le più adeguate per quel paziente in quel momento.

Purtroppo, come ben noto, di fronte alla comunicazione della cattiva notizia nessuno di noi è preparato.
Scatta quindi nel nostro inconscio uno schema costante in tutti noi:

Negazione: “Non è vero”
Rabbia: Perché – Chi è stato – Di chi è la colpa
Accettazione: Si comincia a prendere consapevolezza del problema
Negoziazione: Vediamo cosa si può fare
Rassegnazione: Ormai non c’è più nulla da fare ma almeno non facciamolo soffrire

Tutto ciò implica, da parte del medico, la considerazione del “meccanismo di difesa” che può manifestarsi  – nel paziente, così come nei suoi familiari – con la impreparazione e rifiuto a ricevere la terribile informazione peraltro già individuata. In questo caso, ancora una volta, si procede per gradi, mediando,  nel rispetto della sensibilità di tutti, ma con la necessaria fermezza onde non accondiscendere nell’abdicazione alla deontologia medicale. In altre parole, il medico ha il dovere di rispettare il diritto all’informazione del malato, pur fungendosi conciliatore  tra le necessita etiche e legali connesse al rispetto della volontà del paziente e la richiesta dei familiari, tollerando anche possibili reazioni di rabbia o di negazione, che saprà gestire con fermezza e delicatezza, facendo sempre loro presente come il diritto del paziente all’informazione e all’autodeterminazione sia un punto fermo ed irrinunciabile. Tuttavia, qualora sia il paziente stesso a “non voler sapere”, è concedibile tale deroga.

E’ altresì, in ogni caso  utile, richiamare l’attenzione dei familiari sul fatto che l’esperienza dimostra quanto un’informazione veritiera migliori l’adattamento e l’umore della persona malata, facilitando la sua relazione con i familiari stessi.

La prima fase –  la preparazione al dialogo –  consiste sostanzialmente in un’approfondita indagine, in cui  l’Anestesista Rianimatore, provvede  a chiarire ed esaminare in concerto con i colleghi del Pronto Soccorso o del Reparto di Degenza – che hanno precedentemente  avuto in cura il paziente – le informazioni disponibili oltre a stabilire – con i colleghi stessi –  contenuti, tempi  e modalità del colloquio, richiedendo la loro indispensabile presenza. Naturalmente, il delicato colloquio avverrà in condizioni scevre da interruzioni o interferenze esterne e, soprattutto,  il medico dovrà predisporsi emotivamente all’ascolto.

La seconda fase – la verifica del livello d’informazione  della persona malata e dei familiari – è ovviamente la più delicata, alla quale si procede dapprima con il chiedere al malato – anticipandogli l’importanza delle informazioni in serbo – se è suo desiderio che al colloquio sia presente un familiare, ed accertarsi in merito al livello di conoscenza inerente la gravità e la probabile evoluzione della condizione sino a quel momento.

Se il paziente e/o i suoi familiari appaiono incerti o disorientati o se dimostrano di avere informazioni od opinioni scorrette, è opportuno avviare la comunicazione da questi ultimi punti al fine di correggere le affermazioni non coerenti con la realtà per poi,  gradualmente giungere al messaggio che si vuole dare; solo dopo aver fornito ogni necessaria spiegazione, al fine di far orientare verso una valutazione realistica della situazione, sarà possibile procedere ad illustrare rischi ed esiti.

Completa l’indispensabilità delle citate verifiche, l’accertamento dell’avvenuta comprensione, priva di fraintendimenti in merito alle informazioni erogate.

Per quanto concerne la pianificazione delle fasi successive, se l’aspettativa di vita è limitata ed il ricorso a cure intensive non ne modifica la prognosi, il percorso assistenziale deve essere tale da garantire la qualità di vita residua e la qualità di morte, nei migliori modi possibili.

E’ opportuno prendere in considerazione l’eventuale richiesta di ritorno al domicilio.

L’Anestesista Rianimatore non “abbandona la scena”, ma collabora con i colleghi in Pronto Soccorso e nei Reparti di Degenza nella gestione dei sintomi del fine vita e nel supporto ai familiari.

La domanda, cui con comprensibile patema d’animo, i familiari e talvolta il paziente stesso, rivolgono al medico è “quanto tempo resta?”. Alla richiesta di esplicitare la prognosi in termini temporali, il medico eviterà  risposte assolute e si esprimerà in termini approssimativi, vale a dire “ore o giorni” oppure “giorni o settimane”, enfatizzandone sempre i limiti… non dimentichiamo che la data della nostra dipartita è rimessa alla decisione Divina.

Dal drammatico annuncio, si attivano i provvedimenti opportuni atti a garantire  per il “tempo che resta”,  un fine vita il più possibile scevro da sofferenza fisica. Se tra i provvedimenti, è contemplata la limitazione dei trattamenti intensivi, l’Anestesista Rianimatore può essere coinvolto nella prescrizione di una “sedazione palliativa”. Qualora il malato versi in condizioni di decesso imminente, è necessario esaudire l’eventuale desiderio della presenza di un ministro di culto e fornire ai familiari le informazioni utili per le gestione del decesso.

A questo punto, per l’Anestesista Rianimatore è possibile congedarsi, garantendo la propria disponibilità e la propria presenza in ogni momento.

Sarebbe altresì auspicabile che l’Anestesista Rianimatore (ove possibile) si recasse – almeno – ancora una volta dal paziente, al fine di verificare l’attuazione delle sue prescrizioni e per un ulteriore eventuale colloquio.
In tutti questi passaggi molto delicati avvengono spesso dei briefing tra medici per la condivisione delle scelte terapeutiche. Un debriefing è utile successivamente a verificare passaggi, dubbi, comprendere errori e permettere il necessario scarico di emozioni.

Daniela Cavallini:

Dott. Primerano, nonostante l’argomento delicato, è stato un piacere riscontrare nella chiarezza delle sue risposte un grande aiuto per tutti i nostri lettori che vivono la drammatica condizione descritta.

 

E’ un’entusiasta! La caratterizza lo spiccato desiderio di comunicare. Nel suo percorso professionale ha ricoperto posizioni di responsabilità nel settore Education nell’ambito di Società Multinazionali, erogando corsi di Addestramento e Formazione – Aziendali ed Interaziendali - al Personale Commerciale. Successivamente, Daniela è migrata al mondo dell’imprenditoria. Con l’eclettismo che la contraddistingue, da alcuni anni è ritornata al suo primo amore: l’arte. È un’apprezzata astrattista che ama trasporre su tela le sue sensazioni. Contestualmente, da alcuni anni si è dedicata alla scrittura pubblicando e-book ad indirizzo formativo e curando per alcune testate giornalistiche rubriche inerenti psicologia, comunicazione, problematiche di coppia, salute e bellezza.

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