FINE VITA: NOVITA’ LEGISLATIVE A TUTELA DELLA DIGNITA’ DEL MALATO

Intervista al Dott. Enzo Primerano

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Che la vita finisca è stabilito per legge naturale. Tuttavia, se la democraticità della nostra dipartita è ascrivibile esclusivamente alla sfera dell’ineluttabilità, altrettanto non si può asserire relativamente alle modalità con le quali abbandoniamo la vita terrena.

E’ forse un privilegiato colui che, come si suol dire, “in età più che avanzata, è sempre stato bene ed è mancato nel sonno, senza neppure accorgersene”? E’ forse è un “dimenticato”, defraudato della pietà divina chi, giovane o anziano che sia, lascia questo mondo tra lunghe ed atroci sofferenze?

Sono quesiti destinati al campo delle opinioni che, in funzione delle nostre credenze religiose o agnostiche che siano, considerano la fine della nostra permanenza su questa terra un viaggio verso varie destinazioni: un mondo migliore nel quale trovare la pace eterna, un luogo punitivo dove espiare le nostre colpe oppure semplicemente verso l’ineluttabile fine di noi stessi.

Se a tutt’oggi, coerentemente con il principio democratico succitato, nessuno può essere risparmiato dal distacco dalla vita, è altrettanto inconfutabile che, grazie alla scienza, questo possa avvenire con modalità differenti rispetto al passato, vale a dire meno traumatiche per se stessi e per le persone care che ci accompagnano fino all’ultimo respiro.

E’ dunque per diffondere i punti cardine di questa immensa differenza, che oggi è nuovamente con noi il Dott. Enzo Primerano – Responsabile del Reparto di Terapia Intensiva e del dolore presso il Policlinico di Monza, che ringrazio per la grande sensibilità – senza nulla togliere alla razionalità – rivolta a pazienti e parenti sottoposti alla più difficile e finale prova cui tutti noi siamo inesorabilmente destinati.

Daniela Cavallini:

Dott. Primerano, le sono grata per avermi contattato affinché potessimo insieme divulgare le nuove norme che regolamentano il cosiddetto “fine vita”. Prima di procedere nel merito delle novità legislative, desidero ricordare la fondamentale importanza dell’amore verso il paziente, aspetto che lei tiene sempre a sottolineare.

Dott. Enzo Primerano:

Diffondere informazioni chiare e precise lo ritengo un dovere morale. Per quanto concerne l’amore verso il paziente – e non solo nei casi limite – non saprei se definirlo l’adiuvante od il coadiuvante delle terapie cliniche. Certamente, l’amore agisce alla stregua di una cura reciproca tra medico e paziente, dalla quale entrambi traggono la forza necessaria a procedere.

Daniela Cavallini:

L’amore genera amore, infatti, nel suo reparto, nonostante il contatto costante con la disperazione e talvolta l’impotenza di fronte all’ineluttabilità, è percepibile l’armonia tra il personale della sua equipe…

Dott. Enzo Primerano:

Assolutamente sì, se un gruppo non è affiatato, difficilmente può essere coeso all’obiettivo. L’assegnazione dei ruoli e dei turni di lavoro, talvolta massacranti, non possono e non devono essere considerati rigidamente. Se è fondamentale stabilire in base alle proprie conoscenze e capacità “chi fa che cosa” a livello gerarchico e/o organizzativo, è essenziale – nel momento emergenziale – poter contare sulla disponibilità incondizionata allo svolgimento di qualunque incarico purché ritenuto all’altezza del collaboratore. Lei può immaginare che mentre il medico, combattendo contro il tempo, è concentrato sul protocollo da somministrare, nel disperato tentativo di salvare un paziente, qualcuno si rifiuta di adempiere a qualsivoglia compito (cui è normalmente preposto personale gerarchicamente inferiore) con la motivazione “non è compito mio”? Ecco, da noi questo è ritenuto intollerabile!

Daniela Cavallini:

Dott. Primerano, le confesso che alla sola lettura del titolo riportato nel documento ufficiale, emesso dalla SIAARTI, mi sono sentita pervadere da una sensazione angosciante. Tuttavia è indispensabile che io lo riporti, unitamente all’introduzione ed agli obiettivi del testo stesso, in quanto da qui traiamo le novità legislative relative al fine vita:

Le cure di fine vita e l’Anestesista rianimatore: raccomandazioni SIIARTI per l’approccio alla persona morente – update 2018”

Dato che non tutti noi “non addetti ai lavori”, siamo a conoscenza delle precedenti norme, è necessario che riferisca quantomeno l’introduzione e gli obiettivi, riportati nel testo stesso.

Introduzione

Nel 2006 la SIAARTI, tramite il suo Gruppo di Studio per la Bioetica, pubblico il documento “Le cure di fine vita e l’Anestesista Rianimatore: Raccomandazioni SIAARTI per l’approccio al paziente morente” [1] che seguiva le “Linee guida per la ammissione e la dimissione dalla Terapia Intensiva (TI) e per la limitazione dei trattamenti in TI” pubblicato nel 2003 [2].

Da allora la sensibilità e le riflessioni in Italia e all’estero relative a questi temi sono fortemente cresciute [3–10], vi sono stati importanti pronunciamenti ufficiali [11–13] e novità legislative [14].

Alla luce di queste evidenze si è reso necessario un update del documento del 2006, che, pur rimanendo valido nel suo impianto, deve essere adattato alla nuova realtà per guidare la costruzione di protocolli locali di gestione del fine-vita sia in TI che in Ospedale.”

Obiettivi

Il primo obiettivo del documento é produrre raccomandazioni per orientare i processi decisionali di fine vita, tenendo conto dei vincoli e delle opportunità dei singoli contesti professionali e organizzativi.

Il secondo obiettivo è fornire all’Anestesista Rianimatore (AR) suggerimenti operativi per la gestione della persona morente, sia in TI, che in Pronto Soccorso (PS) e nei Reparti di Degenza Ordinaria (RDO).

In questo modo il documento può facilitare la pianificazione dell’approccio e del tipo di cura che l’equipe ritiene possa essere offerto a una persona al termine della vita e alla sua famiglia e può stimolare la riflessione interna a ciascun ospedale per realizzare un progetto condiviso di gestione interdisciplinare di questa fase particolarmente complessa.”

Dunque, Dott. Primerano, mi permetta il tono empirico della domanda: come e quando si stabilisce che il paziente è morente?

Dott. Enzo Primerano:

E’ un processo decisionale determinato dall’equipe medica, sulla base dell’anamnesi del paziente e che coinvolge in prima persona il succitato Anestesista Rianimatore. Pertanto si richiede l’intervento di tale specialista quando, come si dice in gergo “non c’è più nulla da fare”. Per amore di precisione, riporto anch’io, qui di seguito, le situazioni ritenute dolorosamente ed esclusivamente idonee al trattamento di fine vita, traendole dallo stesso prezioso documento SIIARTI:

1. malato cronico end-stage – in stato terminale – che giunge in PS che peggiora in RDO per il quale l’AR chiamato in consulenza, può maturare il convincimento di non erogare/sospendere le cure intensive da lui ritenute potenzialmente inappropriate;

2. persona senza comorbilità – diagnosi medica -, ma con patologia acuta gravissima per la quale l’AR può maturare il convincimento di non erogare cure intensive perché potenzialmente inappropriate rispetto alla condizione clinica non più reversibile;

3. malato critico in TI che non risponde a terapia massimale prolungata;

4. persona malata “fragile”, proposta all’AR per intervento chirurgico in emergenza-urgenza, con un alto rischio di mortalità intra- e peri-operatoria o un esito con dipendenza da supporti vitali o grave ulteriore compromissione della qualità di vita;

5. persona definita al termine della vita già dai suoi curanti, con funzioni vitali ancora autonome seppure precarie, per la quale l’AR è chiamato a consulto per avviare il protocollo.

Le persone morenti meritano attenzione ai propri bisogni e un’assistenza mirata ad alleviare le sofferenze, garantendo loro una dignitosa qualità della vita residua e della morte.

Bando alla logica difensivistica, in queste situazioni, all’insistente erogazione delle cure intensive, deve esser preferito l’approccio palliativo. Non si tratta di sospendere le cure e di abbandonare la persona morente, ma di accompagnarla garantendone fino all’ultimo la qualità della vita e la dignità. L’obiettivo di alleviare le sofferenze deve prevalere su quello di prolungare la sopravvivenza.

Daniela Cavallini:

Un altro aspetto difficoltoso riguarda l’annuncio di tale angosciante prospettiva, un tempo limitato ai soli familiari, con pietosa esclusione del paziente. Ad oggi è ancora così?

Dott. Enzo Primerano:

Innanzitutto è compito dell’equipe adottare una comunicazione empatica, che si protragga oltre il colloquio formale, atta ad aiutare la famiglia del malato a comprendere – e soprattutto accettare – la gravità della situazione. Ricordo che i parenti dei pazienti ricoverati in Terapia Intensiva, vivono uno stress emotivo tale da sviluppare non di rado lo sviluppo di ansia e depressione. Al fine di agevolare l’applicazione del seppur psicologicamente devastante protocollo, ribadisco attuato nell’interesse del paziente, è fondamentale che medico e familiare, quando non anche il paziente stesso se cosciente, procedano in concerto. Per far sì che questo avvenga il più serenamente possibile, è indispensabile che il medico si ponga in “ascolto attivo” durante i colloqui, seguendo i cinque punti essenziali – dall’acronimo inglese VALUE – per ricordare di: .considerare le affermazioni dei familiari

. riconoscere le emozioni dei familiari

. ascoltare i familiari

. comprendere il paziente in quanto persona

. stimolare le domande dei familiari

Solo attraverso un processo decisionale condiviso, tra medico e familiari e/o paziente, è possibile addivenire all’applicazione delle somministrazioni più opportune.

Daniela Cavallini:

Addivenire al citato “processo decisionale condiviso” non è certo facile. E’ necessario conoscere tutte le informazioni riguardanti lo stato clinico del paziente e, questo, implica oltre alla certezza assoluta dell’infausta diagnosi e la chiarezza espositiva del medico, anche il comprendimento di quanto espresso, a carico di persone che non sempre ne sono in grado. In altre parole, non sono rari i casi in cui i familiari capiscono solo che inderogabilmente “questi medici” condurranno il loro caro congiunto, a morte certa.

Dott. Enzo Primerano:

La definizione della prognosi e la relativa accettazione sono indispensabili per poter avviare un percorso di fine vita. La definizione deve fondarsi sulle più recenti e solide evidenze scientifiche e non deve lasciare adito ad ambivalenze. La prognosi, se interpretata solo in chiave emotiva, può generare dubbi e incertezze che possono minare la relazione tra curanti e famiglie/pazienti.

Se da parte della famiglia non vi è l’accettazione di scelte adeguatamente fondate e motivate, spesso nella relazione non si è sviluppata la fiducia necessaria; da questa situazione può generarsi un conflitto di difficile risoluzione.

Nell’ambito del concetto di “cura centrata sul paziente” il processo decisionale richiede che i medici valutino il ruolo preferito delle famiglie nel processo decisionale, piuttosto che assumere un modello comunicativo valido una volta per tutte. Un processo comunicativo e decisionale condiviso, per essere di qualità, deve includere tre componenti importanti:

avere valutato la prognosi e la sua certezza;

avere valutato il ruolo che la famiglia vuole avere nel processo decisionale condiviso;

adattare la strategia di comunicazione sulle preferenze della famiglia.

Apparentemente queste sono precisazioni riservate al medico, tuttavia è corretto che anche il paziente ed i suoi familiari ne siano a conoscenza per comprenderne la corretta applicazione ed instaurare, con il medico stesso, un rapporto di rispetto e fiducia.

E’ un’entusiasta! La caratterizza lo spiccato desiderio di comunicare. Nel suo percorso professionale ha ricoperto posizioni di responsabilità nel settore Education nell’ambito di Società Multinazionali, erogando corsi di Addestramento e Formazione – Aziendali ed Interaziendali - al Personale Commerciale. Successivamente, Daniela è migrata al mondo dell’imprenditoria. Con l’eclettismo che la contraddistingue, da alcuni anni è ritornata al suo primo amore: l’arte. È un’apprezzata astrattista che ama trasporre su tela le sue sensazioni. Contestualmente, da alcuni anni si è dedicata alla scrittura pubblicando e-book ad indirizzo formativo e curando per alcune testate giornalistiche rubriche inerenti psicologia, comunicazione, problematiche di coppia, salute e bellezza.

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