Bias Cognitivi ed euristiche di pensiero che rallentano l’uscita dalla pandemia.

In che modo Bias cognitivi e le euristiche di pensiero incidono sulla fine dalla pandemia?

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Un po’ di etimologia…

Bias è un termine inglese, che trae origine dal francese provenzale biais, e significa obliquo, inclinato. Questa parola, a sua volta deriva dal latino e, prima ancora, dal greco epikársios, obliquo. Inizialmente, tale termine veniva usato nel gioco delle bocce, soprattutto per indicare i “tiri storti” che portavano a conseguenze negative. Nella seconda metà del 1500, il termine bias, assume un significato più vasto, infatti sarà tradotto come inclinazione, predisposizione, pregiudizio. I bias cognitivi sono dunque costrutti fondati, al di fuori del giudizio critico, su percezioni errate o deformate, su pregiudizi e ideologie; utilizzati spesso per prendere decisioni in fretta e senza fatica. Si tratta, il più delle volte di errori cognitivi che impattano nella vita di tutti i giorni, non solo su decisioni e comportamenti, ma anche sui processi di pensiero.

Le euristiche (dal greco heurískein: trovare, scoprire) sono, al contrario dei bias, procedimenti mentali intuitivi e sbrigativi, scorciatoie mentali, che permettono di costruire un’idea generica su un argomento senza effettuare troppi sforzi cognitivi. Sono strategie veloci utilizzate di frequente per giungere rapidamente a delle conclusioni. Possiamo, quindi, affermare che I bias cognitivi e le euristiche sono dei costrutti fondati su ideologie e pregiudizi, percezioni errate o deformate che consentono di prendere decisioni ma che possono indurre in errore.

In che modo Bias cognitivi e le euristiche di pensiero incidono sulla fine dalla pandemia?

Di fronte a qualcosa di così impattante, pericoloso e subdolo come un evento pandemico da virus ci siamo trovati a dover affrontare una nuova realtà, a fare i conti non solo con un nuovo modo di vivere mai immaginato prima, ma, soprattutto, ci siamo trovati a dover comprendere, anche con una certa urgenza, “cosa stava e cosa sta accadendo” e a cercare di capire in che modo comportarci individualmente e collettivamente al fine di proteggerci e proteggere. Cognitivamente siamo stati chiamati ad elaborare una nuova realtà, nuovi significati, a fare uno sforzo per razionalizzare e dare un senso ad un qualcosa di ignoto e al contempo pericoloso. Solitamente di fronte a ciò che non conosciamo e che ci spaventa il nostro cervello reagisce in due modi: da un lato, per far fronte alla preoccupazione mette in atto una serie di strategie cognitive finalizzate alla conoscenza (talvolta iperconoscenza), alla razionalizzazione al fine di dare un significato al nuovo e allo sconosciuto (quello che non conosco mi fa paura, se imparo a conoscerlo e ad affrontarlo avrò meno timore); dall’altro, quando qualcosa sfugge al nostro controllo, ci fa troppa paura e non abbiamo adeguati strumenti per affrontarla utilizziamo automaticamente euristiche di pensiero supportate da una serie di “trappole della mente”: per l’ appunto “bias cognitivi” che hanno lo scopo di “semplificare” la realtà (il più delle volte erroneamente).

Da due anni viviamo in un limbo che vede da un lato l’esistenza di un virus (il Sars Cov-2), fino a poco tempo fa sconosciuto, dall’ altro il mettere in atto una serie di strategie preventive e di cura per evitare ulteriori danni considerando, in particolar modo, i disastrosi esiti della prima ondata e del primo lockdown.

Per più di un anno, ad esempio, la campagna vaccinale ci è stata presentata come l’unica risoluzione al panico generatosi in seguito alla diffusione del virus. Diverse sono state le reazioni psicologiche della popolazione, non obbligata dal Decreto del 12 marzo 2021 a vaccinarsi, e le valutazioni personali sono state connotate da una allarmante miopia cognitiva.

Di conseguenza, alcuni cittadini si sono adoperati alla ricerca di un antidoto, altri si sono nascosti o sottratti, negandone l’efficacia o dissertandone sulla rete anche in modo ossessivo-compulsiva. Altri ancora ne hanno sostenuto l’efficacia, e si sono sentiti privilegiati di essere reclutati tra coloro che potevano o avrebbero dovuto sottoporvisi; altri, invece, hanno temuto di andare incontro a potenziali danni per la propria salute. Queste reazioni, molto probabilmente, sono connesse alla campagna europea di vaccinazione, contraddittoria e spesso enfatica, nonostante la sua finalità rassicurante.

Ci riferiamo ad esempio agli allarmismi e alle fake news circolate anche nella rete. Abbiamo visto sottoporsi a vaccinazione prima gli operatori sanitari, i vulnerabili e le fasce protette, e poi file di pensionati vaccinati e gli insegnanti in lista di attesa, quotidianamente esposti al rischio: un “pandem-onio”! Non ultimi i lotti fallati e le alterne valutazioni su alcune tipologie di vaccino. Si disegna dunque una psicologia emotiva contraddittoria che si muove da un lato tra paura, ansia, rabbia e dall’altro, ottimismo, entusiasmo, speranza. Di fronte al vaccino diverse sono state le credenze attivatesi: ci riferiamo a delle modalità di ragionamento riguardanti la salute, il benessere personale e comune, e più in generale l’approccio alla vita, alla malattia e all’emergenza.

Ma quali sono stati (e ancora sono) i bias relativi alla campagna vaccinale?

Tversky & Kahneman (1974) hanno teorizzato l’esistenza di una serie di bias cognitivi che possono indurre in errori di ragionamento, ovvero distorsioni nelle valutazioni o nel processo decisionale. Si tratta di distorsioni cognitive inconsapevoli che a volte ci inducono a prendere decisioni irrazionali anche quando siamo convinti di aver valutato accuratamente una questione. Un bias è definito nello specifico come un errore di valutazione o mancanza di oggettività di giudizio di fronte ad una scelta, una situazione o una questione che prende origine da informazioni che si hanno in possesso e da cui si inferiscono giudizi, pregiudizi e ideologie. Tuttavia, non è possibile rimuovere i bias dal funzionamento della nostra mente; è possibile analizzarli a posteriori in modo tale da verificare le diverse valutazioni sulla realtà e prevenire eventuali effetti distorsivi.

Per quasi tutto il Novecento, mentre si diffondevano gravi malattie infettive anche nei paesi industrializzati, le campagne di vaccinazione erano considerate una soluzione miracolosa. Oggi, in relazione all’opportunità offertaci dal piano di vaccinazione nazionale, osserviamo una diffusione di bias cognitivi che sembrano frenare la propensione alla vaccinazione.

Nel secolo scorso, grazie all’interazione tra il bias della disponibilità (Tversky & Kahneman, 1973), ovvero la tendenza che porta a formulare giudizi sulla base degli esempi e/o delle informazioni più disponibili che più facilmente e vividamente vengono alla mente, e il bias della riprova sociale (Cialdini 1984), tendenza a ritenere maggiormente validi i comportamenti o e le scelte che vengono effettuati da un elevato numero di persone, quasi nessuno sviluppava un atteggiamento critico nei confronti della vaccinazione su larga scala.

Dando uno sguardo al passato, come possiamo spiegarci che i vaccini – forse i rimedi più efficaci e sicuri che la scienza abbia mai scoperto e garantito – siano diventati così allarmanti al punto da indurre milioni di genitori nel mondo a non proteggere i propri figli da malattie molto gravi?

Analizzando il fenomeno, possiamo osservare come sia già accaduto che si diffidasse del vaccino; ad esempio nel febbraio del 1998 il medico inglese Andrew Wakefield avanzò l’ipotesi che la vaccinazione trivalente potesse causare l’insorgenza di autismo. L’annuncio ebbe una significativa risonanza mediatica e milioni di genitori entrarono in allarme. Sulla scia del bias della disponibilità, l’allarme divenne forte alimentando il dilemma: vaccinare o non vaccinare i propri figli? Spinti dal bias di omissione, molti genitori scelsero di non farlo, seguendo una linea di ragionamento omissiva: in caso di incertezza o di dubbio, meglio non agire piuttosto che ad agire. Un altro bias senz’altro contribuì ad alimentare l’allarme. Spesso l’insorgenza dell’autismo corrispondeva temporalmente alla somministrazione della vaccinazione. Ciò portò molti genitori ad inferire un nesso di causalità fra vaccino e autismo: “se l’autismo si manifesta poco dopo la vaccinazione, allora il vaccino deve esserne stato la causa”.

Tuttavia, ad oggi sappiamo, che si tratta di due eventi separati e indipendenti, ma l’illusione di causalità fece sembrare questo legame molto plausibile e probabile. In moltissimi genitori la paura si consolidò in una convinzione sempre più radicata, alimentando uno dei bias più potenti di cui spesso siamo vittime: il bias di conferma (Wason 1960). Si tratta della tendenza a cercare, a credere e a ricordare informazioni che confermano una nostra convinzione, e a rifiutare, non credere o dimenticare quelle che la possono smentire (Nickerson, 1998; Oswald, & Grosjean 2004) e dunque confermare una ipotesi tramite prove a favore invece che prendere in considerazione evidenze contrarie. A sommarsi intervenne l’effetto Dunning-Kruger, un bias cognitivo che porta a sovrastimare le proprie competenze in uno specifico ambito, anche se pur debolmente in nostro possesso.

Attualmente la società è spaccata tra indecisi e determinati. Per questo motivo può essere utile confrontarsi con diversi bias che possono condurre a valutazioni erronee circa l’efficacia della vaccinazione e dunque far luce sui bias degli “indecisi”.

Mai come in questo momento storico, la disponibilità di un vaccino efficace rappresenta un rimedio indispensabile: ecco il bias della disponibilità di nuovo in azione!

Tra gli errori di ragionamento, possiamo annoverare il bias di conferma. Ciascuno di noi è portato ad attribuire maggiore credibilità alle informazioni che confermano le proprie convinzioni e ad evitare informazioni che le contraddicano. Si tratta di una modalità di ragionamento che porta a far riferimento alle sole informazioni che alimentano i propri punti di vista preesistenti (“negazionisti – complottisti”). La conseguenza di questo errore comporta una conferma delle nostre decisioni o convinzioni, piuttosto che la loro messa in discussione. Solitamente ci si “appiglia” ad affermazioni non supportate da un punto di vista scientifico, piuttosto si tratta di una rappresentazione della realtà che conduce ad ignorare o sottostimare gli eventi che confuterebbero la propria posizione preesistete. Inoltre, questo errore, può essere alimentato anche dal “bias del pavone”, inteso come la tendenza a mostrare maggiormente i successi rispetto ai fallimenti o, d’altra parte, a ignorare questi ultimi.

Alla luce di quanto indicato precedentemente, appare interessante riflettere anche sul bias di omissione, errore che porta a fare scelte che comportano l’omissione anziché l’azione, anche quando vi è un’esposizione a rischi oggettivamente elevati per la salute, in questo caso il contagio. La paura o il timore di commettere una scelta potenzialmente errata o dannosa porterebbero, infatti, ad assumere una posizione passiva, tale da sperimentare un rimpianto minore qualora l’esito fosse la morte o il rischio per la propria salute. Di fronte al dubbio che la vaccinazione possa causare esiti avversi, si decide quindi di non vaccinarsi, sottoponendosi a rischi di gran lunga maggiori in termini di probabilità. In situazioni di una scelta valutata come “rischiosa”, chi deve decidere se vaccinarsi o meno si confronta con l’alternativa tra azione concreta e omissione, tendendo a scegliere l’omissione in assenza di informazioni per sé valutate come rassicuranti: “Non ho informazioni rassicuranti… se dovessi vaccinarmi non mi perdonerei o accetterei mai un’eventuale reazione avversa”. Tuttavia anche il non vaccinarsi è in realtà una scelta assai più rischiosa: corrisponde, infatti, alla scelta di non proteggersi dall’epidemia.

A tutto questo, si aggiungono il bias di ancoraggio o la trappola della relatività, ossia la tendenza a creare una propria realtà soggettiva, non corrispondente alle evidenze, sulla base di interpretazioni in possesso che portano ad un errore di valutazione o ad una non oggettività di giudizio. L’errore, pertanto, comporta un ancorarsi ad un valore che viene poi utilizzato arbitrariamente come termine di paragone per le valutazioni in atto, invece che basarsi sul valore assoluto (“Dopo la vaccinazione, pochi sono deceduti, ed altri hanno rischiato la trombosi”). Pertanto, non vengono valutati gli esiti positivi. Ciò si ricollega alle correlazioni illusorie (Hamilton e Guifford, 1976), ovvero all’attribuzione di relazioni tra variabili seppur non esistenti: “dopo il vaccino ho iniziato a sentirmi più stanco, più debole, più vulnerabile”. Anche queste affermazioni non si basano su statistiche dei dati, ma su una valutazione erronea che, se due eventi sono legati a livello temporale, allora possono essere connessi da un rapporto di causa-effetto. Tale modalità definita “Correlation is not causation” pone enfasi su come due eventi correlati temporalmente non sono necessariamente uno causa dell’altro e, dunque, che la correlazione non implica causalità. Il nostro cervello è sempre alla ricerca di spiegazioni per comprendere la realtà, pertanto, in una situazione avversa come la pandemia, sarebbe opportuno non effettuare una valutazione partendo da un caso singolo, ma affidarsi a ciò che la scienza ritiene attendibile.

Infine, si è avuto modo di riscontrare la presenza dell’euristica della disponibilità. Le persone tendono a sovrastimare le informazioni che sono loro maggiormente disponibili o che appartengono ad una cerchia di persone “vicine”. In questo caso quindi, oltre all’impossibilità di verificare la veridicità delle informazioni, si tende a considerarle superiori a tutte quelle che possono mitigarne l’effetto. Il risultato è quello di estremizzare il dato, nonché di considerare il vaccino pericoloso e, quindi, di evitarlo. È sicuramente inevitabile non lasciarsi coinvolgere dalle persone vicine: il problema è cercare di non lasciare all’emotività il controllo su decisioni importanti che possono decretare un rischio per la propria salute.

In questi mesi, a seguito dell’attenzione da parte dei media di poche gravi reazioni avverse, abbiamo osservato come intere fasce di popolazione si siano rifiutate di sottoporsi alla vaccinazione con AstraZeneca, attivando anche un bias di informazione selettiva, sulla base del quale ogni elemento statisticamente irrilevante assume invece una notevole importanza a favore delle proprie credenze di diffidenza e paura circa gli effetti collaterali del vaccino. Queste considerazioni conducono certamente alla maggiore comprensione di taluni fenomeni, ed evidenziano come i processi di valutazione e la presa di decisione siano influenzati da ingredienti emotivi.

È noto, infatti, come l’emozione guidi e influenzi i processi cognitivi, e dunque i giudizi. Alcuni processi come l’Emotional Reasoning (Arntz et al, 1995; Mancini e Gangemi, 2004) e l’Affect-as-Information, sono due termini per descrivere un medesimo meccanismo psicologico in grado di mantenere nel tempo valutazioni e comportamenti disfunzionali, che espongono ad inferire una condizione di pericolo/timore a partire dal proprio stato emotivo negativo, validando erroneamente pensieri e credenze relativi alla presenza di pericoli o impedimenti, che a loro volta vanno ad amplificare l’emozione di partenza. Si tratta di processi attraverso i quali gli esseri umani tendono ad utilizzare il proprio stato affettivo, più che delle evidenze oggettive, come informazione saliente per esprimere valutazioni sul mondo, meccanismo che non è soltanto tipico di processi psicopatologici, ma che tutti viviamo nella quotidianità. Un esempio pertinente può essere: “Se mi sento preoccupato e in ansia, allora vuol dire che il vaccino ha qualcosa di pericoloso”.

Appare interessante riflettere sul ruolo del ragionamento emozionale come fenomeno che guida coloro che, nonostante le numerose evidenze empiriche riguardo i vantaggi della vaccinazione (alcuni studi escludono fenomeni avversi anche a lungo termine), continuano a non vaccinarsi sulla base di un vissuto emotivo di paura, che guida la loro valutazione e il conseguente comportamento, sino a generare credenze arbitrarie relative al vaccino, talvolta persino di tipo complottistico.

La paura, il ragionamento emozionale e l’affect-as-information sottolineano quanto sia diffusa la resistenza al cambiamento a causa del ruolo cruciale svolto da alcune credenze nella genesi e nel mantenimento della sofferenza psicologica. Certamente, a mantenere questo tipo di funzionamento, intervengono fattori ambientali di ambivalenza e scarsa chiarezza da parte della comunicazione in merito alla campagna vaccinale. Ma è importante tener presente che i bias rispetto al vaccino possono essere certamente influenzati dalla tendenza ad affidarsi a processi di ragionamento influenzati dalle emozioni, alle euristiche, che orientano sempre più spesso verso una teoria complottista/negazionista o della cospirazione, che inficia una narrazione corretta sulla vaccinazione.

Appare interessante riflettere anche sul confine fra la psicologia dei soggetti contrari a tutti i costi alla vaccinazione e i quadri di fobia in cui osserviamo il ragionamento emozionale e/o simil ossessivo e l’evitamento esperienziale, messi in atto allo scopo di azzerare qualsiasi tipo di rischio, accettando un rischio di malattia maggiore. Infine, anche l’obiezione relativa alla costrizione e alla democrazia di poter scegliere di non farlo, reclamano sia un senso di non accettazione, che riscontriamo nei profili ansiosi, sia credenze di specialità e diritti straordinari, che contraddistinguono quadri di narcisismo covert.

Sicuramente la comunicazione dei mass media in questi due anni è stata manchevole se non addirittura schizofrenica e questo ha alimentato maggiormente paure e reticenze nei confronti della campagna vaccinale e creato non poca confusione sulla pericolosità del Virus. La gestione della pandemia certamente non è stata lodevole e non ha saputo dare risposte adeguate a tutte le categorie di cittadini, ma ci si è trovati -e ci si trova- pur sempre di fronte ad un evento improvviso che richiede strategie emergenziali per il contenimento di un problema che necessita di essere, ancora, conosciuto a fondo. Le paure sono comprensibilissime, tutti noi ci siamo trovati di fronte a qualcosa di ignoto, sconosciuto, che ha creato panico e sgomento: un nemico invisibile e pericoloso che ci ha messo in allerta, ma se dopo un primo momento di terrore, un successivo slittamento verso la negazione e lo spostamento quali meccanismi di difesa atti a proteggere il nostro equilibrio psichico, non si arriva alla razionalizzazione ed alla presa di coscienza che è necessario affrontare tutto questo logicamente e soprattutto scientificamente, si rischia di restare impantanati nell’evento pandemico ancora a lungo. Ritengo che una comunicazione corretta sul Covid-19 e sull’utilizzo dei vaccini possa avvalersi delle competenze dello psicologo, al fine di garantire una conoscenza scevra da allarmismi, che neutralizzi le credenze negative rispetto ad esiti indesiderati.

Dott.ssa Ilenia Gregorio
Psicologa abilitata presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II, Iscritta all' Ordine degli Psicologi della Campania n. 9622, Pedagogista Clinica e Mediatore Familiare Sistemico-Relazionale, ha conseguito la Laurea cum Laude in Scienze Psicopedagogiche all’ Università Suor Orsola Benincasa di Napoli discutendo la Tesi in Psicologia Dinamica sui Meccanismi di difesa e le dinamiche psichiche del paziente oncologico, dopo aver svolto un tirocinio accademico pre-lauream presso il Dipartimento di Psicologia Oncologica dell’ INT G. Pascale di Napoli. Ha conseguito, inoltre, una seconda Laurea Magistrale in Psicologia Sociale, dei Servizi e delle Organizzazioni approfondendo la Psicologia dei Processi Cognitivi nelle malattie croniche e neurodegenerative con una Tesi sui Disturbi Cognitivi, Affettivi e Comportamentali nella malattia di Parkinson presso l’Università di Roma. Ha svolto un ulteriore tirocinio professionalizzante post Lauream presso la Sede di Napoli dell’Accademia di Psicoterapia della Famiglia (RM) “Polo Clinico Centro Studi Kairos” dove è attualmente in formazione come Psicoterapeuta Sistemico-Relazionale. Specializzata in Mediazione Familiare e Consulenza di Coppia ad orientamento Sistemico presso L’ Istituto di Medicina e Psicologia Sistemica di Napoli (IMEPS), inizia nel 2006, la collaborazione in qualità di ricercatrice con l’INT Fondazione Pascale di Napoli che la vede impegnata in Progetti di Ricerca, Educazione e consulenza Socio-Sanitaria nel campo della familiarità dei tumori femminili (Dipartimento di Ginecologia Oncologica). Continua la sua attività di ricerca ed assistenza in ambito psicopedagogico e clinico attraverso interventi di Infant Clinical Observation, Ludoterapia e Supporto alle famiglie, occupandosi dal 2008 di problemi psico-educativi in età evolutiva di bambini figli di pazienti oncologici presso il Servizio Ludoteca (Ambulatorio Famiglia) dell’Istituto Nazionale Tumori di Napoli (Dipartimento di Psiconcologia Clinica). Nel 2015 si perfeziona in ambito Psiconcologico attraverso il Corso di Alta Formazione in Psico-Oncologia dal titolo “La Psicologia incontra l’Oncologia” patrocinato dalla SIPO: Società Italiana di Psiconcologia. Docente e Formatore ha collaborato con la Lega Italiana Lotta ai Tumori- sezione di Napoli- a Progetti di Educazione Socio-Sanitaria e, con la Regione Campania, in Corsi di Formazione Regionali. Relatrice di Convegni e Seminari riguardanti tematiche Psicologiche e Pedagogiche è specializzata, inoltre, nel sostegno di famiglie multiproblematiche e devianti avendo lavorato con nuclei familiari a rischio e con forte disagio socio- economico e culturale della II e III Municipalità di Napoli. Ha lavorato, inoltre, in Progetti nel campo delle disabilità dal 2001 al 2010 (Sindrome di Down e Tetraparesi Spastica). Dal 2008 al 2019 ha esercitato la professione di Mediatore Familiare in autonomia e, su richiesta, in collaborazione con Studi giuridici matrimonialisti. Ha collaborato presso il Centro Nutrizione&Benessere della Dott.ssa Silvana Di Martino sito in Casoria in programmi di Psicologia della Nutrizione, Educazione Alimentare, Formazione e gestione di spazi di Mediazione Familiare Sistemica. Autrice di Articoli sul quotidiano medico on line #TAGMEDICINA, è stata impegnata nella S.C. di Epidemiologia e Biostatistica dell’Istituto Tumori di Napoli in attività connesse all’ Emergenza SARS CoV-2 da Maggio 2020 a Febbraio 2022. Attualmente lavora con pazienti pediatrici e pazienti adulti in trattamento radioterapico presso la U.O.C. di Radioterapia dell’ INT di Napoli “Fondazione G. Pascale” in qualità di Psicologa.

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