Carne sintetica o coltivata, nuove fonti proteiche. Ecco quali sono

L’industria alimentare è in un momento di transizione verso produzioni di fonti proteiche vegetali in sostituzione di carne, latte e uova. Ecco cosa c’è di nuovo

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L’industria alimentare è in un momento di transizione verso produzioni che vengano incontro alle emergenze che il pianeta sta vivendo, tutte interdipendenti fra loro. Riscaldamento climatico, crescita della popolazione ed esaurimento fonti energetiche fossili; e poi il depauperamento dei suoli e l’impatto ambientale delle emissioni di gas serra dovute alle attività umane. Cresce inoltre nei cittadini un sentimento etico e salutistico che chiede pratiche produttive rispettose del benessere degli animali da un lato e per la salute dell’uomo dall’altro, legato all’uso di antibiotici ed ormoni negli animali. Abbiamo bisogno di fornire cibo, in particolare fonti proteiche, ad un numero crescente di persone salvaguardando acqua, suolo e aria, a costi economicamente sostenibili.

Proteine alternative: entro il 2035 ricopriranno fino all’11%

Il tema della ricerca di fonti proteiche alternative alla carne e più in generale alle materie prime animali (latte, uova) è uno dei più ampi ambiti della ricerca. Secondo il rapporto dell’Area Studi Medio Banca (Nutraceutica e novel food: tra salute e sostenibilità Overview internazionale, gennaio 2022) si prevede che le proteine alternative entro il 2035 ricopriranno fino all’11% del mercato complessivo delle proteine (ora sono al 2%), per un valore attorno ai 290 miliardi di dollari. Stiamo parlando, in termini di volumi, di una quantità fra gli 87 e i 195 milioni di tonnellate. I principali ostacoli da superare sono tecnologici ma anche culturali (in funzione della materia prima da cui derivano le alternative) e determineranno la presa sui consumatori e il loro successo commerciale, dicono gli analisti. Innanzitutto, gli aspetti sensoriali legati al sapore e alla consistenza: le alternative devono riuscire a riprodurre il più fedelmente possibile le corrispondenti animali. Devono poterle rimpiazzare anche in termini funzionali: con il sostituto vegetale di un uovo si dovrebbe poter cucinare una frittata o preparare un’emulsione a mo’ di maionese ed infine arrivare ad un costo di produzione e quindi ad un prezzo di vendita paragonabili a quelli delle proteine animali.

Fonti proteiche vegetali: ecco quali sono

Stiamo parlano per lo più di fonti proteiche vegetali in sostituzione di carne, latte e uova: proteine ottenute da processi di fermentazione; da alghe o da insetti e della cosiddetta carne coltivata in laboratorio. Grande scalpore suscitò la produzione in laboratorio di un hamburger nel 2013 presso l’università di Maasticht. Un esperimento che dimostrò al di là dei costi proibitivi e di tutti i limiti insiti in un prototipo che la ricerca poteva essere approfondita, visti i vantaggi in termini di sostenibilità della produzione. A che punto siamo oggi? La carne sintetica o coltivata è un prodotto che si ottiene a partire da cellule animali alimentate da sieri di origine animale o vegetale fino a farle diventare un tessuto muscolare. Le tecniche di realizzazione sono mutuate dalla medicina rigenerativa. Gli elementi principali sono tre: le cellule starter staminali, prelevate dal tessuto muscolare di un animale vivo tramite biopsia (si tratterebbe dell’unico passaggio che vede il coinvolgimento di un animale). Un sistema di supporto (scaffold o medium growth) di materiale alimentare e degradabile, sul quale farle crescere fino alla formazione di un reticolo, immerse in un siero di derivazione fetale bovino ricco di proteine, acidi grassi e altri nutrienti naturali. Ed infine un bioreattore che garantisca le condizioni di pH e temperatura ottimali per la crescita.

I costi delle produzioni innovative

I limiti per questa tecnica sono per ora economici; a questi si aggiungono le possibili resistenze culturali e psicologiche da parte dei consumatori. Manca inoltre un quadro normativo di riferimento e ancora forte è la resistenza delle associazioni dei produttori di carne da allevamento e macellazione. Dal primo hamburger di Maastricht, costato 250 mila euro, fino al 2020 sono nate diverse start-up che hanno raccolto fino a 370 milioni di dollari per continuare lo sviluppo. L’interesse quindi è elevato. I costi di produzione sono diminuiti in 7 anni di ricerca del 99%: non abbastanza per garantire la vendita. Gli impatti ambientali di questa tecnica, però, consentirebbero di raggiungere molti degli obiettivi di sostenibilità: 95% in meno di sfruttamento del suolo per l’allevamento; fino all’87% in meno di produzione di gas serra; assenza di contaminati quali antibiotici o ormoni che possono residuare invece nelle carni degli animali da allevamento e infine una forte riduzione del rischio di insorgenza di zoonosi. L’obiettivo oggi è fissato al raggiungimento di un costo al chilogrammo di prodotto pari a 20 dollari, che potrebbe essere centrato nel 2030 quando si prevede “una sostanziale parità di quotazione con la carne convenzionale” (BCG, Food for Thought, March 2021).

Fonte Farmacista 33

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