I meccanismi di difesa del paziente oncologico.Strategie psicologiche per tutelarsi dalla sofferenza

I meccanismi difensivi messi in atto dal paziente oncologico sono finalizzati all’elaborazione dei vissuti e delle emozioni suscitati dalla malattia: è fondamentale che riesca, alla fine di questo percorso adattivo, ad orientare diversamente la propria progettualità esistenziale, in modo che possa in qualche modo contenere la malattia neoplastica e le angosce di morte ad essa correlate.

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La malattia cancro, con il suo significato di importante stress emozionale, è in grado di produrre, nei diversi individui, una serie di reazioni psicologiche che si esprimono sotto forma di fenomeni di attivazione biologica, di vissuti soggettivi e di reazioni comportamentali.

Tali reazioni sono del tutto comprensibili se si tiene conto delle modificazioni che le emozioni provocano sia a livello somatico che a carico del sistema vegetativo, endocrino ed immunitario, oltre che delle modalità differenziate con cui le emozioni vengono espresse dal singolo individuo: alcuni soggetti privilegiando, in questo senso, la scarica comportamentale dell’emozione, altri trasferendola sul piano somatico.

I meccanismi difensivi messi in atto dal paziente oncologico sono finalizzati all’elaborazione dei vissuti e delle emozioni suscitati dalla malattia: è fondamentale che riesca, alla fine di questo percorso adattivo, ad orientare diversamente la propria progettualità esistenziale, in modo che possa in qualche modo contenere la malattia neoplastica e le angosce di morte ad essa correlate.

Diversi Autori hanno riconosciuto nei pazienti oncologici alcune fasi inerenti la reazione psicologica, accompagnate da corrispondenti meccanismi difensivi:

una fase del dubbio, che si estende dalla comparsa dei sintomi iniziali di malattia alla definizione diagnostica; è caratterizzata da vissuti angosciosi correlati all’esecuzione degli esami e degli accertamenti clinici e durante tale fase predominano meccanismi difensivi di negazione, di rimozione, di razionalizzazione;

una fase diagnostica, particolarmente difficile per il paziente e i suoi familiari, oltre che per il curante, in cui dapprima operano massicciamente i meccanismi di negazione, con una successiva graduale presa di coscienza ed una possibile alternanza di vissuti d’angoscia e di fiducia nell’efficacia delle terapie;

una fase di ospedalizzazione/fase terapeutica, nella quale si realizza, con l’ingresso nella struttura ospedaliera, una sorta di spersonalizzazione dell’individuo che si percepisce quasi esclusivamente come portatore di una patologia, piuttosto che come individuo nella sua complessità. In questa fase possono manifestarsi varie problematiche connesse all’esecuzione di terapie più o meno complesse (chirurgiche, chemio- e radio-terapiche), sovente gravate da effetti collaterali particolarmente debilitanti e fastidiosi;

una fase di remissione, in cui il paziente riacquista fiducia ed ottimismo grazie al miglioramento clinico conseguito con le terapie, recuperando anche una certa capacità progettuale;

una fase di ripresa della malattia, che, se si dovesse manifestare, rappresenta il periodo di maggiore rischio per la comparsa di disturbi psichiatrici soprattutto di tipo depressivo e ansioso;

una fase terminale, nella quale vengono, in genere, attuate delle terapie palliative mirate ad alleviare le sofferenze del paziente nell’ultimo periodo della sua esistenza.

In ambito psiconcologico è di primaria importanza, in questa fase, farsi carico delle esigenze psicologiche del paziente, oltre che dei familiari, aiutandoli ad elaborare la separazione ed il lutto imminenti.

Per grandi linee, i più frequenti e significativi meccanismi di difesa sono.:

La Negazione: attraverso cui l’inconscio del paziente “taglia” tutti i pezzi di informazione negativa, li cancella e li distorce, consentendo alla mente conscia di elaborare solo informazioni accettabili.

Il meccanismo della negazione consente alla persona malata di non entrare bruscamente in contatto con una verità troppo amara. Se ciò avvenisse, ne seguirebbe un conflitto talmente forte da inondare la sua psiche di un’angoscia montante, fino alla follia.

Un simile atteggiamento va assolutamente rispettato; solo a poco a poco, e con estrema delicatezza, si potrà portare il paziente ad accettare la realtà.

La Regressione: è un ritorno, sul piano emotivo, a fasi antecedenti. Il malato torna indietro nel tempo, “toccando” persino stadi infantili. Il paziente quindi può diventare petulante, esigente, e si attende da chi si relaziona con lui (parenti, medici, infermieri, volontari) un atteggiamento indulgente, protettivo e condiscendente, come quello di un genitore. In questo caso, ci troviamo di fronte ai cosiddetti archetipi del buon padre o della buona madre.

Nella regressione si può, inoltre, verificare il fenomeno di transfert e controtransfert. Il paziente può comportarsi con il personale medico-sanitario come se ricoprisse, per certi aspetti, le figure genitoriali. Il controtransfert è spesso indotto dal paziente: con il suo atteggiamento di dipendenza determina in chi lo cura atteggiamenti protettivi o paternalistici.

Può perfino verificarsi un’inversione generazionale di ruoli tra madre e figlio: il figlio assume le funzioni di padre verso il genitore ammalato in atteggiamento regressivo.

Lo Spostamento: Consiste nello spostare un’emozione, una pulsione, una preoccupazione o un comportamento da un oggetto iniziale verso un altro perché rivolgerli a ciò che li ha scatenati (in questo caso la malattia oncologica) suscita troppa angoscia.

Il Misticismo: alcuni ammalati si aggrappano alla religiosità, non tanto per una propria reale convinzione, ma confidando nella protezione divina o nel miracolo come unica via di uscita da una situazione che li angoscia. E’ come se dicessero: “Io non riesco a gestire questo problema; lo affido a Dio o comunque ad una entità superiore”. Anche questo è un meccanismo di difesa, demandare cioè tutta la responsabilità di quello che ci succede a qualcuno più potente di noi, rinforzando questa convinzione con simboli esterni di affidamento come crocifissi, medagliette, figurine e rosari, usati non come segni di una fede forte e responsabile ma come magici talismani.

La “supervalutazione del personale ospedaliero” è un atteggiamento simile al precedente ma, in questo caso, rivolto soprattutto ai medici, che appaiono onnipotenti, in grado di guarire il paziente se solo questi riuscirà ad entrare nelle loro grazie, e all’infermiere che magari potrà intercedere. L’ “ipervalutazione delle cure” determina numerose fughe all’estero. Queste ultime, spesso giustificate da un’assistenza migliore, non sempre assicurano terapie risolutrici.

L’Aggressività: può considerarsi una particolare forma di spostamento. Il risentimento, spesso frequente nella persona ammalata denota un atteggiamento ostile verso l’ambiente e verso gli altri. Può apparire ingiustificata, ma in realtà è rivolta verso chi rappresenta la parte “sana” e bella della vita, mentre si soffre. Un atteggiamento provocatorio può rappresentare un tentativo di comunicazione che noi dovremmo saper riconoscere. Se non si comprende subito il significato del messaggio, bisogna attenersi alla regola dell’astensione: fermarsi ed assecondare. A volte, anche se difficile ed imbarazzante, può essere necessario restare in silenzio.

L‘Identificazione: può succedere, nella relazione con un malato, di pensare: “Se questo dovesse capitare a me? se fossi io al suo posto? ” In tal caso ci stiamo proiettando in lui, ci stiamo preoccupando soprattutto di noi stessi. Credere di incoraggiare il malato con espressioni del tipo: “Via, non è nulla, vedrai che presto tornerai meglio di prima” significa mistificare la realtà e impedirgli di esprimere il suo vero stato d’animo.

Se siamo invece portati a sopravvalutare la sua reale condizione clinica, trasferendo così la nostra angoscia o depressione sul paziente, a questo punto, egli non dovrà badare solo alle proprie ansie ma anche alle nostre che, senza accorgercene, gli abbiamo gravato addosso.

E’ fondamentale comprendere che, mentre i meccanismi di difesa in una persona sana vanno individuati e trattati adeguatamente per consentire l’evoluzione personale, negli ammalati e soprattutto in quelli gravi essi vanno riconosciuti, accettati e rispettati.

Anche se il paziente rivela una visione palesemente errata della realtà, va riconosciuto il suo intento difensivo. In situazioni simili non è tanto importante il trionfo della verità quanto l’equilibrio e la serenità del malato. Egli manca di stabilità ed è in cerca di punti di appoggio lungo un percorso difficile, doloroso e, al momento, cerca di farlo nel modo migliore. Estremamente importante è quindi, evitare di rinforzare i meccanismi di difesa del paziente assecondandoli con l’approvazione.

Il nostro atteggiamento non deve essere né di opposizione né di approvazione. Non dobbiamo né rompere né rinforzare i meccanismi di difesa, ma conservare un atteggiamento quanto più possibile neutrale.

I meccanismi di difesa sono molto importanti per il paziente, perché servono a salvaguardare il suo equilibrio psicologico, ad affrontare lo stress della malattia, degli interventi terapeutici, della degenza ospedaliera, ad arginare l’angoscia, altrimenti, difficilmente sopportabile. Essi sono anche utili al decorso della malattia, perché un paziente meno ansioso può collaborare meglio alla propria guarigione.

Il modo migliore di aiutare il paziente ad affrontare e superare lo shock iniziale sarà quello di rispettare i tempi soggettivi di accettazione della diagnosi medica, sostenendo e accogliendo le paure, il timore, i dubbi iniziali del paziente. Ogni persona ha un proprio modo di reagire e affrontare la malattia che deve essere compreso e rispettato lungo tutto il percorso di cura, in quanto l’adattamento alla malattia richiede tempo e risorse personali. Il paziente una volta superata la fase iniziale di disorientamento potrà avviare un percorso di elaborazione/integrazione della malattia nella propria esperienza di vita, fino ad arrivare ad una piena consapevolezza e accettazione della patologia. In questa fase è fondamentale e molto utile affidarsi ad un professionista: lo psicologo potrà aiutare il paziente a gestire la malattia, ad essere compliante alle terapie a incoraggiare l’espressione e la comunicazione delle emozioni coinvolgendo anche i familiari, a sviluppare modalità più adattive di affrontare l’evento cancro, a dare un senso a quanto accaduto, a ridare un senso di speranza e ottimismo verso il futuro.

Dott.ssa Ilenia Gregorio
Psicologa abilitata presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II, Iscritta all' Ordine degli Psicologi della Campania n. 9622, Pedagogista Clinica e Mediatore Familiare Sistemico-Relazionale, ha conseguito la Laurea cum Laude in Scienze Psicopedagogiche all’ Università Suor Orsola Benincasa di Napoli discutendo la Tesi in Psicologia Dinamica sui Meccanismi di difesa e le dinamiche psichiche del paziente oncologico, dopo aver svolto un tirocinio accademico pre-lauream presso il Dipartimento di Psicologia Oncologica dell’ INT G. Pascale di Napoli. Ha conseguito, inoltre, una seconda Laurea Magistrale in Psicologia Sociale, dei Servizi e delle Organizzazioni approfondendo la Psicologia dei Processi Cognitivi nelle malattie croniche e neurodegenerative con una Tesi sui Disturbi Cognitivi, Affettivi e Comportamentali nella malattia di Parkinson presso l’Università di Roma. Ha svolto un ulteriore tirocinio professionalizzante post Lauream presso la Sede di Napoli dell’Accademia di Psicoterapia della Famiglia (RM) “Polo Clinico Centro Studi Kairos” dove è attualmente in formazione come Psicoterapeuta Sistemico-Relazionale. Specializzata in Mediazione Familiare e Consulenza di Coppia ad orientamento Sistemico presso L’ Istituto di Medicina e Psicologia Sistemica di Napoli (IMEPS), inizia nel 2006, la collaborazione in qualità di ricercatrice con l’INT Fondazione Pascale di Napoli che la vede impegnata in Progetti di Ricerca, Educazione e consulenza Socio-Sanitaria nel campo della familiarità dei tumori femminili (Dipartimento di Ginecologia Oncologica). Continua la sua attività di ricerca ed assistenza in ambito psicopedagogico e clinico attraverso interventi di Infant Clinical Observation, Ludoterapia e Supporto alle famiglie, occupandosi dal 2008 di problemi psico-educativi in età evolutiva di bambini figli di pazienti oncologici presso il Servizio Ludoteca (Ambulatorio Famiglia) dell’Istituto Nazionale Tumori di Napoli (Dipartimento di Psiconcologia Clinica). Nel 2015 si perfeziona in ambito Psiconcologico attraverso il Corso di Alta Formazione in Psico-Oncologia dal titolo “La Psicologia incontra l’Oncologia” patrocinato dalla SIPO: Società Italiana di Psiconcologia. Docente e Formatore ha collaborato con la Lega Italiana Lotta ai Tumori- sezione di Napoli- a Progetti di Educazione Socio-Sanitaria e, con la Regione Campania, in Corsi di Formazione Regionali. Relatrice di Convegni e Seminari riguardanti tematiche Psicologiche e Pedagogiche è specializzata, inoltre, nel sostegno di famiglie multiproblematiche e devianti avendo lavorato con nuclei familiari a rischio e con forte disagio socio- economico e culturale della II e III Municipalità di Napoli. Ha lavorato, inoltre, in Progetti nel campo delle disabilità dal 2001 al 2010 (Sindrome di Down e Tetraparesi Spastica). Dal 2008 al 2019 ha esercitato la professione di Mediatore Familiare in autonomia e, su richiesta, in collaborazione con Studi giuridici matrimonialisti. Ha collaborato presso il Centro Nutrizione&Benessere della Dott.ssa Silvana Di Martino sito in Casoria in programmi di Psicologia della Nutrizione, Educazione Alimentare, Formazione e gestione di spazi di Mediazione Familiare Sistemica. Autrice di Articoli sul quotidiano medico on line #TAGMEDICINA, è stata impegnata nella S.C. di Epidemiologia e Biostatistica dell’Istituto Tumori di Napoli in attività connesse all’ Emergenza SARS CoV-2 da Maggio 2020 a Febbraio 2022. Attualmente lavora con pazienti pediatrici e pazienti adulti in trattamento radioterapico presso la U.O.C. di Radioterapia dell’ INT di Napoli “Fondazione G. Pascale” in qualità di Psicologa.

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