OMOCISTEINA E OSTEOPOROSI

L’omocisteina è un aminoacido che contiene zolfo e che si forma nel nostro organismo a partire dalla metionina, aminoacido essenziale, che viene introdotto con l’alimentazione attraverso il consumo di carne, uova, latte, legumi.

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Elevati livelli di Omocisteina plasmatica sono un fattore di rischio importante ed indipendente per fratture osteoporotiche sia negli uomini che nelle donne di età avanzata come è emerso in vari recenti studi, anche se alcuni articoli di tipo epidemiologico ne confutano i risultati.

L’omocisteina è un aminoacido che contiene zolfo e che si forma nel nostro organismo a partire dalla metionina, aminoacido essenziale, che viene introdotto con l’alimentazione attraverso il consumo di carne, uova, latte, legumi.

Alcuni specifici enzimi (MTHFR) e alcune vitamine, attraverso la sua ritrasformazione a metionina, fanno sì che il suo livello plasmatico rimanga entro limiti che non causino quell’effetto infiammatorio alla base delle alterazioni indotte da questa molecola. È noto infatti che il polimorfismo genetico MTHFR C677T è causa di iperomocisteinemia.

È ben noto che l’iperomocisteinemia rappresenta un fattore di rischio indipendente per le malattie infiammatorie croniche legate all’età, tra cui l’Alzheimer e le malattie cardiovascolari ma anche per l’osteoporosi che condivide la medesima base infiammazione cronica di basso livello, cosiddetta inflamm-aging, con queste condizioni patologiche.

Fattori che determinano iperomocisteinemia possono essere sia fattori Genetici che alimentari ma anche correlati ad altre patologie come quelle renali ad esempio ed a farmaci come la pillola anticoncezionale. Anche alcuni regimi dietetici, come quello vegano, a causa della limitata assunzione di vitamina B12 possono essere causa di valori di omocisteina elevati.

Anche un deficit di vitamina D può essere la causa di questa alterazione ed infatti è coinvolta, tra le sue numerose funzioni, nella regolazione diretta di un enzima centrale nel metabolismo dell’omocisteina (la cistationina beta-sintasi), attraverso l’attivazione dei recettori per la vitamina D (VDR) presenti negli osteoblasti. Livelli sierici ridotti di vitamina D possono quindi portare a livelli elevati di omocisteina, che a loro volta possono portare a un’alterata qualità ossea causando legami difettosi nel collagene che forma la microarchitettura ossea.

È probabilmente questa una dei meccanismi che mettono in rapporto la sindrome da fragilità ossea e l’iperomocisteinemia. Infatti vi è una correlazione statisticamente più significativa con le fratture in soggetti con osteopenia, maggiormente correlate alla microarchitettura ossea e quindi ad una alterazione della trama collagenica, che non in coloro che sono in osteoporosi.

Le donne con livelli di omocisteina più elevati hanno espresso valori T-score più bassi, ma anche un aumento dell’infiammazione e dei marker di riassorbimento osseo, rispetto alle donne senza iperomocisteinemia, mentre i marker di nuova formazione ossea sono diminuiti. 

Un altro meccanismo attraverso il quale l’iperomocisteinemia può determinare un danno alla struttura ossea è quello infiammatorio, già accennato in precedenza. Numerosi studi sia clinici che epidemiologici che sperimentali hanno messo in correlazione l’eccesso di omocisteina con una abnorme formazione di interleuchine infiammatorie come l’interleuchina 1 e la 6 ed il tumour necrosis factor-alpha (TNF-α). Chi mi segue avrà sicuramente presente il mio articolo sull’osteoimmunologia nel quale riportavo delle ricerche che correlavano le interleuchine pro-infiammatorie e l’osteoporosi chiudendo così il circuito logico omocisteina-infiammazione-osteoporosi confermato, tra l’altro, da valori più elevati dei markers infiammatori in questi Pazienti. Ma oltre che danneggiare i legami del collagene alcuni studi in vitro hanno dimostrato che l’iperomocisteinemia promuove direttamente la differenziazione e la sopravvivenza degli osteoclasti ed inibisce l’attività degli osteoblasti potendo inoltre esercitare effetti dannosi sull’osso anche attraverso una diminuzione del flusso sanguigno ed un aumento delle metalloproteinasi (enzimi che “digeriscono” le proteine), danneggiando la matrice ossea extracellulare e, quindi, indebolendolo.

L’iperomocisteinemia è stata infine indicata come uno dei due meccanismi che correlano l’assunzione cronica e prolungata negli anni degli inibitori di pompa protonica (usati nelle patologie gastro-esofagee) e la sindrome da fragilità ossea. Infatti l’ipocloridria da essi causata comporta un ridotto assorbimento della vitamina B12 ed altre del gruppo B con un incremento dei valori di omocisteina (l’altro meccanismo coinvolge l’iperparatiroidismo)

Ricerche condotte grazie al supporto di O.I.Q.O. (Osservatorio Internazionale della Qualità dell’Osso) a.p.s.

Dott. Gianfranco Pisano Laureato in Medicina e Chirurgia all’ Università la Sapienza Roma Master in Medicina dello Sport, Università di Siena Master malattie metaboliche dell'osso, osteoporosi, Università di Firenze Master Fitoterapia, Università di Trieste e Computense di Madrid

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