La sindrome di burnout

La sindrome di burnout è una condizione di sofferenza psichica caratterizzata da un sovraccarico psico-fisico derivante da situazioni di forte stress lavorativo, associata in particolare a tutte le professioni di aiuto (infermieri, medici, psicologi, assistenti sociali, etc).

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Il termine “burnout” comparve per la prima volta nel 1930 in ambito sportivo, e indicava l’incapacità dell’atleta di ottenere ulteriori successi dopo i primi. Dalla fine degli anni 70, il termine burnout è stato utilizzato per descrivere un esito patologico da evento stressante, specifico del mondo del lavoro e delle professioni di aiuto. Gli psicologi Freudenberger e Maslach portarono avanti le prime osservazioni sul fenomeno dopo aver notato i sintomi caratteristici in alcuni operatori nel reparto di igiene mentale.

Nel 2019 l’OMS ha definito il burnout come una sindrome, ed è stato incluso nella Classificazione internazionale delle malattie (ICD-11) come fenomeno professionale, ma non è considerato come una malattia vera e propria.


La sindrome di burnout, sulla base degli studi della psicologa Maslach, è definita come il risultato di 3 componenti principali:
Esaurimento emotivo, a cui consegue una perdita di energie fisiche e mentali e un esaurimento delle risorse, con prevalenza di sentimenti di apatia e di distacco emotivo nei confronti del lavoro. Il soggetto si sente “svuotato”, “esaurito”, come se non avesse più mezzi per gestire la situazione di stress.
Depersonalizzazione: presenza di sentimenti negativi, atteggiamenti di indifferenza e cinismo, intolleranza alle sofferenze del paziente e ai suoi problemi. Si tratta di un aspetto del burnout in cui il soggetto tenderebbe a sottovalutare i problemi di salute del paziente, e di conseguenza a non garantire un’adeguata assistenza.
Mancanza di realizzazione personale: il soggetto si crea un’idea negativa di se stesso e del suo lavoro, vittima di uno stato di inadeguatezza e sensi di colpa, fino a pensare di aver fallito completamente nella sua professione.

La sindrome di burnout riconosce una patogenesi di tipo multifattoriale. Le condizioni dell’ambiente lavorativo costituiscono una delle prime cause di burnout, caratterizzate da un eccessivo carico di lavoro. Altri fattori riguardano uno scarso senso di appartenenza all’ambiente lavorativo, scarso riconoscimento professionale da parte delle istituzioni e dal datore di lavoro, scarso supporto sociale, oppure fattori individuali legati ad aspettative troppo alte.


La psicologa Maslach ha ideato un questionario multidimensionale composto da 22 item in grado di riconoscere persone potenzialmente a rischio, prendendo in considerazione i 3 fattori principali di questa sindrome. Nel corso del tempo sono stati sviluppati anche altri test per riconoscere in maniera precoce il burnout, rivolti non soltanto alle professioni di aiuto ma a tutte quelle professioni che sono in contatto con il pubblico. Il burnout ad oggi è un problema sottovalutato e predispone il soggetto al rischio di contrarre complicanze anche gravi sulla sua salute fisica e mentale. E’ stato studiato infatti come il burnout possa determinare un peggioramento sullo stato di salute generale dell’individuo, predisponendo l’insorgenza di disturbi mentali (depressione e disturbi d’ansia), disturbi del sonno, cefalea, disturbi gastrointestinali, disturbi cardiaci. A livello organizzativo naturalmente ne consegue una riduzione della performance, e un alto rischio in ambito sanitario di non riuscire a fornire le giuste cure ai pazienti, aumentando così il rischio di errori.


Secondo alcuni studi, gli infermieri sono la categoria professionale più esposta a questo fenomeno; in Italia infatti, quasi il 50% degli infermieri è in burnout e da alcune statistiche risulta che sempre la metà degli infermieri ha dichiarato di voler lasciare il proprio lavoro in cerca di una carriera diversa.

Il burnout costituisce dunque un problema rilevante in medicina, e cercare di prevenirlo o di attenuarlo dovrebbe costituire un obiettivo di ogni struttura che desideri tutelare i propri dipendenti, per garantire anche la qualità di ogni prestazione. Non esiste una terapia specifica per questo problema, per questo motivo la prevenzione gioca un ruolo cruciale in questo ambito: importante è anche la comunicazione nel gruppo lavorativo e la ricerca di supporto psicologico quando si avvertono i primi segnali.

Fonti: Journal of Psychopathology


Infermiera iscritta all'Ordine delle Professioni Infermieristiche di Napoli dal 26/05/2021. Ha maturato esperienza professionale come infermiera attraverso il tirocinio clinicouniversitario, presso il servizio 118, in Residenze Sanitarie Assistenziali, in un laboratoriodi analisi cliniche e attraverso l'assistenza infermieristica domiciliare. Ha proseguito gli studi con un master di I livello nell'ambito della salute mentale

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