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L’ansia, quindi, è una risposta innata, spesso utile per l’individuo ma se non gestita correttamente può diventare cronica ed essere causa di numerosi disturbi. Come indicato dagli esperti, l’ansia cronica determina numerose conseguenze negative per l’organismo:
Conseguenze dell’ansia |
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L’associazione tra insonnia e disturbi d’ansia è clinicamente nota e scientificamente riconosciuta. L’insonnia rappresenta un fattore di rischio per il disturbo d’ansia e può manifestarsi come caratteristica clinica di quest’ultimo. Un disturbo d’ansia, allo stesso modo, aumenta la vulnerabilità al disturbo da insonnia e può aggravarne il decorso. La direzione del rapporto di rischio compare in modo bidirezionale, non è sempre chiara e può cambiare nel tempo. Difficoltà ad iniziare e/o a mantenere il sonno sono emerse nel Disturbo d’Ansia Generalizzata, nel Disturbo d’Attacco di Panico e nella Fobia sociale (A.P.A, 2014; Taylor D. et al., 2005). Con l’ICSD III e il DSM 5 scompare la distinzione tra insonnia primaria e insonnia secondaria, per lasciare il posto ad una categoria unica denominata disturbo da insonnia. Tale diagnosi viene assegnata nei seguenti casi: 1) quando il disturbo si manifesta come una condizione indipendente; 2) quando l’insonnia si manifesta in comorbidità con un altro disturbo mentale o una condizione medica o un altro disturbo del sonno. Sebbene possa essere un sintomo o un disturbo indipendente, l’insonnia è più frequentemente osservata come condizione in comorbidità (A.P.A, 2014; ICSD III, 2014).
L’organizzazione Mondiale della Sanità definisce l’insonnia come condizione caratterizzata da una reiterata difficoltà ad iniziare e/o a mantenere il sonno, in cui è riferita insoddisfazione riguardo la quantità o la qualità del sonno. Ḕ presente per almeno tre notti la settimana ed è associata ad una sensazione di fatica, stanchezza o inefficienza diurna (WHO, 1992). Stime basate sulla popolazione indicano che circa un terzo degli adulti presenta sintomi di insonnia. Il disturbo da insonnia è il più diffuso tra tutti i disturbi del sonno. Da numerose evidenze scientifiche emerge che la condizione tende a diventare persistente e cronica con effetti estremamente nocivi sulla salute. I dati indicano che l’insonnia è un fattore di rischio non solo per patologie psichiatriche, come ansia e depressione, ma anche per malattie metaboliche, cardiovascolari e neurologiche; aumenta l’infiammazione cronica; peggiora il decorso di malattie neurovegetative; riduce drasticamente la qualità di vita; incide su concentrazione, attenzione e memoria con rischi sulla sicurezza personale e sociale; diminuisce le capacità di performance in ambito scolastico e lavorativo con ricadute negative sulla sfera familiare e relazionale (NIH, 2005).
La descrizione dei principali modelli concettuali sullo sviluppo e persistenza dell’insonnia può essere utile a comprendere con maggior chiarezza le possibili interazioni tra ansia e insonnia.
Modello delle 3P di Spielman
Nel suo modello delle 3P Spielman identifica l’interazione di tre fattori alla base dell’insorgenza, sviluppo e cronicizzazione dell’insonnia: fattori Predisponenti, fattori Precipitanti, fattori Perpetuanti. Le condizioni che predispongono al disturbo da insonnia sono l’età, la familiarità, il genere e le caratteristiche individuali: è infatti noto che il sonno disturbato e l’insonnia presentano una predisposizione familiare e che il genere femminile, l’invecchiamento, i profili di personalità e gli stili cognitivi ansiosi o inclini alla preoccupazione, la predisposizione all’arousal fisiologica e cognitiva sono associati ad essa. Tra i fattori precipitanti che intervengono nel favorire l’esordio acuto del disturbo si annoverano, secondo l’autore, stress, lutti, preoccupazioni, difficoltà lavorative e relazionali e problematiche di natura medica o psichica. Le condizioni che contribuisco, invece, a perpetuarne ed esacerbarne il decorso sono: una cattiva igiene del sonno, la presenza di credenze disfunzionali sul riposo notturno, i comportamenti protettivi caratterizzati da uno sforzo eccessivo per l’addormentamento e di attenzione selettiva sugli stimoli indicativi di un sonno disturbato. Un’insonnia di breve durata è generalmente definita acuta e transitoria ed è spesso associata a fattori stressanti; un’insonnia cronica è, invece, maggiormente legata a fattori perpetuanti. I comportamenti disfunzionali che il soggetto mette in atto per cercare di sconfiggere l’insonnia e le convinzioni errate che sviluppa a proposito del proprio sonno sono, dunque, le condizioni che tendono a cronicizzare l’insonnia (Spielman A.J. & Glovinsky P., 1991). Sono qui di seguito riportati una serie di fattori individuati:
ASPETTATIVE E CREDENZE DISFUNZIONALI |
COMPORTAMENTI PROTETTIVI |
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(Perlis M. et al.,2015)
Si evince, dalla presentazione del modello di Spielman, che aspetti di vulnerabilità cognitiva e fisiologica, quali un’eccessiva attivazione, stili cognitivi ansiosi ed inclini alla preoccupazione, la percezione dello stress e il modo in cui il soggetto vi reagisce risultano essere tra gli elementi essenziali ai fini dell’ esordio, sviluppo e a cronicizzazione dell’insonnia.
Modello basato sul ruolo dell’iperarousal
Secondo il modello cognitivo basato sul ruolo dell’iperarousal (Harvey A.G, 2002; 2005; Espie C.A., 2006; Morin C-M. 1993) l’insonnia è sostenuta da una “cascata” di processi cognitivi presenti sia di notte che di giorno. Gli autori ritengono che gli individui con insonnia soffrano di pensieri intrusivi spiacevoli ed eccessiva ansia durante il pre-addormentamento. La costante preoccupazione induce un aumento dell’arousal fisiologico e un forte stato ansioso. L’ansia eccessiva determina, a sua volta, un restringimento del focus attentivo che porta l’individuo a monitorare costantemente gli stimoli interni (sensazioni fisiche) o esterni (stimoli ambientali) che minacciano il sonno, incrementando, di conseguenza, la probabilità di non dormire. Inoltre, come evidenziato anche da Spielman, gli individui sovrastimano le potenziali conseguenze catastofiche della perdita di sonno e la probabilità dell’occorrenza di conseguenze negative sulla performance durante il giorno. Tali convinzioni inducono un incremento dell’attivazione psicofisiologica e la messa in atto di comportamenti per compensare la perdita di sonno, contribuendo ad esacerbare e cronicizzare il disturbo.
Secondo Espie (2006) il sonno è un processo automatico. Tale automaticità viene meno nel momento in cui l’individuo presta attenzione in modo selettivo al sonno e si sforza a tutti i costi di dormire. L’autore sostiene che gli elementi principali che determinano la cronicizzazione dell’insonnia sono: attenzione selettiva, intenzione esplicita e sforzo. La focalizzazione specifica dell’attenzione (attentional bias) sul proprio sonno determina la necessità di formulare una sorta di piano per debellarla. Il processo intenzionale riguarda tutte le azioni mentali e i comportamenti che, in modo strategico, vengono messi in atto per combattere l’insonnia. Tale intenzionalità trasforma, quindi, un processo automatico, il sonno, in una serie di azioni pianificate. Il processo successivo sarà quello di autovalutare continuamente il proprio sonno e di canalizzare tutte le energie e forze nel tentativo di dormire. Quest’ultimo rappresenta l’atto finale che porta alla completa disregolazione dei meccanismi automatici legati al sonno.
Secondo Morin (1993), inoltre, l’eccessivo arousal disturba la naturale sequenza rilassamento-sonnolenza-addormentamento e induce, a lungo andare, il soggetto ad associare il letto (o la camera da letto) con l’ansia di non dormire. Il processo di condizionamento fa si che il letto e la camera diventino segnali in grado di elicitare distress e frustrazione legata ai tentativi fallimentari di prendere sonno. D’altro canto, stimoli interni come l’iperattività cognitiva, l’ansia anticipatoria e l’arousal fisiologico si configurano, essi stessi, segnali per un ulteriore incremento di attivazione esacerbando le difficoltà di sonno. Le conseguenze diurne, quali irritabilità, fatica e stanchezza porterebbero ad un incremento dei pensieri negativi rispetto al proprio sonno e alla propria condizione creando un vero e proprio circolo vizioso (Perlis M. et al.,2015).
In sintesi, i modelli di riferimento indicano, chiaramente, che nell’insonnia si ha un’iperattivazione del sistema dello stress che si traduce in iperarousal cognitivo e fisiologico, il meccanismo fisiopatologico che sostiene insonnia e l’ansia, determinando un aggravarsi di entrambe le condizioni. Nel disturbo da insonnia, quindi, l’ansia può causare ed aggravare il problema e, affiancata da episodi di ‘rimuginio’, contribuisce a stimolare i meccanismi che promuovono la veglia ostacolando il normale processo del sonno: può essere presente una difficoltà ad addormentarsi (aumento della latenza di sonno) o una difficoltà nel mantenere il sonno con un aumento dei risvegli notturni. L’insonnia, a sua volta, genera ulteriore ansia aggravando il decorso di un disturbo esistente.
LA TERZA PARTE SARA’ PUBBLICATA IL GIORNO 12 NOVEMBRE