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L’esposizione agli inquinanti atmosferici (PM2.5 e PM10) è associata a un aumento del rischio di sintomi persistenti di long-COVID, in parte a causa del suo impatto sulla gravità dell’infezione acuta peggiorando anche l’efficacia del vaccino. Questa è la principale conclusione di uno studio pubblicato su Environmental Health Perspectives. Lo studio ha seguito oltre 2.800 adulti della coorte COVICAT, di età compresa tra i 40 e i 65 anni, residenti in Catalogna, che durante la pandemia hanno completato tre questionari online. In questo studio, i ricercatori hanno indagato se l’inquinamento atmosferico e altre esposizioni ambientali come il rumore, la luce artificiale notturna e gli spazi verdi fossero associati al rischio o alla persistenza del Long-COVID. L’analisi ha mostrato che una persona su quattro che ha contratto il COVID-19 ha manifestato sintomi persistenti per tre mesi o più, con il 5% che ha manifestato sintomi persistenti per due anni o più. Le donne, le persone con livelli di istruzione più bassi, le persone con condizioni croniche pregresse e le persone affette da COVID-19 grave erano a più alto rischio di COVID-long. La vaccinazione, invece, ha fatto una differenza positiva: solo il 15% dei partecipanti vaccinati ha sviluppato il long-COVID rispetto al 46% dei non vaccinati.
Inquinamento atmosferico e long-COVID
I ricercatori osservano che, sebbene l’inquinamento atmosferico possa non causare direttamente il long-COVID, potrebbe aumentare la gravità dell’infezione iniziale, che, a sua volta, aumenta il rischio di long COVID. “Questa ipotesi è supportata dall’associazione tra il particolato e i casi più gravi e persistenti di long-COVID. L’esposizione al particolato (PM2.5 e PM10) nell’aria è stato associato a un leggero aumento del rischio di long-COVID persistente (cioè persone che presentavano sintomi long-Covid nel 2021 presenti ancora nel 2023). Il rischio di long-COVID persistente è aumentato in modo lineare con una maggiore esposizione al particolato nell’aria. I ricercatori hanno osservato che, sebbene l’inquinamento atmosferico non possa causare direttamente il long-COVID, potrebbe aumentare la gravità dell’infezione iniziale, che, a sua volta, aumenta il rischio di long COVID. Al contrario, fattori come gli spazi verdi nelle vicinanze o il rumore del traffico hanno mostrato un impatto limitato sul long-COVID.
Il ruolo della vaccinazione
La vaccinazione, invece, ha fatto una differenza positiva: solo il 15% dei partecipanti vaccinati ha sviluppato il long-COVID rispetto al 46% dei non vaccinati. Dato, quest’ultimo, confermato anche da un altro studio – per ora disponibile solo in versione preprint sulla piattaforma medRxiv, che ha valutato l’efficacia della vaccinazione, in particolare delle dosi di richiamo, nel ridurre il rischio di malattia di Long – Covid durante la diffusione della variante Omicron (gennaio 2022 – marzo 2024). Si tratta di una metanalisi di studi svolti in 16 Paesi tra Europa, Asia, Nord America e Australia che hanno utilizzato varie fonti di dati, come cartelle cliniche, registri e sondaggi online. Gli studi ammissibili includevano partecipanti con infezioni confermate da variante Omicron SARS-CoV-2, esaminando i vaccini COVID-19 autorizzati dalla UE. La revisione ha rivelato che la vaccinazione ha ridotto il rischio di long COVID del 22-29% rispetto agli individui non vaccinati, con la prima dose che ha ridotto il rischio del 19% e le dosi di richiamo che hanno fornito un’ulteriore riduzione del 26%. Nonostante la variabilità dei disegni di studio e delle popolazioni, la vaccinazione, in particolare le dosi di richiamo, è stata costantemente associata a una riduzione dei rischi di long COVID. Studi futuri dovrebbero quindi indagare i diversi fattori di rischio, ambientali, fisiologici e sociali studiando al contempo la loro interazione con lo stato vaccinale.
Fonte Doctor 33