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Il passaggio dall’alimentazione esclusiva a base di latte materno a quella complementare comincia, secondo le più diffuse raccomandazioni, a 6 mesi – cioè quando il latte umano (o la formula sostitutiva) non può più soddisfare il fabbisogno energetico e nutritivo di un neonato che viene quindi gradualmente introdotto a nuovi cibi e consistenze – e dura tipicamente fino ai 24 mesi di età. Su tempi e metodi dello svezzamento è tuttavia aperta una certa discussione, a causa delle molte differenze, da quelle socio-culturali, a quelle legate alle tradizioni, alla cultura, alla disponibilità di cibo. Ma un’alimentazione adeguata ed equilibrata è fondamentale per favorire una crescita ottimale del bambino. Sono sempre più le evidenze che provano che, in particolare, quella dei primi 1000 giorni di vita (che comprendono anche i 9 mesi di gestazione attraverso la nutrizione materna) può influenzare anche a lungo termine la salute.
La finestra temporale di inizio svezzamento, ecco quando inizia
Un pool di specialisti di diverse società scientifiche specializzate – La Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale (SIPPS), la Federazione Italiana Medici Pediatri (FIMP), la Società Italiana per lo Sviluppo e le Origine della Salute e delle Malattie (SIDOHaD) e La Società Italiana di Nutrizione Pediatrica (SINUPE) – hanno redatto un documento contenente 38 raccomandazioni basate sull’evidenza e indirizzate ai paesi sviluppati. Il documento affronta, infatti, i temi fondamentali della nutrizione infantile: l’età appropriata per l’introduzione di una alimentazione complementare, il quantitativo adeguato e le modalità, e il rapporto tra svezzamento e sviluppo di malattie non trasmissibili (NCD) più tardi nella vita. La finestra temporale di inizio svezzamento non dipende solo dalla maturazione fisica dell’intestino o della funzionalità renale; ma dal raggiungimento di alcune competenze che dimostrano un adeguato sviluppo neurologico (di solito sono conseguite dal 97% dei bambini a sei mesi di vita): la capacità di riuscire a rimanere seduti senza supporto, saper dare segnali sul senso di fame e sazietà; sapere raggiungere il cucchiaio e il cibo. Del resto, sia OMS sia EFSA hanno dimostrato quanto il latte materno o le formule dei primi sei mesi supportino adeguatamente la crescita fino a quell’età.
Le raccomandazioni supportate da evidenze solide
Sebbene tutte le raccomandazioni contenute nel documento abbiano buone basi scientifiche, solo tre sono supportate da evidenze solide e un consenso unanime del panel: Che lo svezzamento non cominci prima dei 6 mesi di età e comunque il passaggio ad una alimentazione complementare avvenga entro il primo anno di vita, per escludere il rischio di anemia da carenza di ferro; il fatto che, sulla base delle conoscenze attuali, la tempistica di introduzione del glutine non ha alcun effetto sul rischio di sviluppare la malattia; la raccomandazione di introdurre glutine all’inizio dello svezzamento insieme ad altri alimenti. Nonostante costituiscano un’abitudine ben consolidata, altre raccomandazioni hanno una debole base scientifica: per esempio il ruolo dell’assunzione eccessiva di zuccheri semplici e proteine per lo sviluppo di obesità; o di sale per l’ipertensione.
I metodi di svezzamento
Il documento prende anche in considerazione i metodi di svezzamento diversi da quelli più comuni: cioè quello guidato dal bambino e dalla sua curiosità verso il cibo, cioè BLW (baby led weaning) o la sua variante BLISS (Baby-Led Introduction to SolidS), che tiene in maggior considerazione la preoccupazione che la dieta apporti un sufficiente contenuto di ferro e riduca il rischio di soffocamento da cibi solidi. In questi casi gli studiosi hanno evidenziato la bassa qualità scientifica degli studi a supporto, la necessità di un’educazione delle famiglie per scongiurare carenze nutrizionali e infine la necessità di un maggior numero di dati per poter trarre conclusioni adeguate, senza le quali non si può dire come e quanto i due sistemi promuovano una crescita sana e in particolare l’aumento di peso nei primi tre anni di vita e la prevenzione di obesità e delle altre malattie non trasmissibili. Al contrario si consiglia di intraprendere un’alimentazione a richiesta (cioè attenta ai segnali di fame o sazietà del bambino) già dall’allattamento, perché questa pratica sembrerebbe in grado di promuovere il raggiungimento del giusto peso nei primi due anni di età. Infine, rispetto al rischio di allergie, nei neonati sani allattati al seno o con latte artificiale, il panel consiglia di introdurre alimenti potenzialmente allergenici a 6 mesi di età, indipendentemente dal tipo di latte assunto in precedenza e dal rischio atopico. Raccomandano poi di introdurre con le stesse modalità gli alimenti potenzialmente allergenici sia ai bambini a rischio di allergia che a quelli non a rischio di allergia. Nei bambini con dermatite atopica grave, a rischio di malattia allergica, in ogni caso le modalità di introduzione o eventuali specifici regimi alimentari che riguardino i principali allergeni, dalle uova alle arachidi, devono essere indicati sempre dal medico specialista di riferimento.