Medici e infermieri hanno bisogno di dormire 20 minuti durante i turni di notte per garantire la sicurezza dei pazienti e rendere più sereni anche i viaggi verso casa dopo il lavoro. Questo almeno secondo una revisione presentata al congresso Euroanaesthesia svoltosi quest’anno a Milano. A cura dell’anestesista dott.ssa Nancy Redfern del Newcastle Hospitals NHS Foundation Trust, lo studio valuta gli effetti potenzialmente letali della fatica su medici e infermieri stessi, e il suo impatto sulla qualità del loro lavoro clinico e sul giudizio e quindi sulla sicurezza dei pazienti.
Un “debito di sonno” inizia a accumularsi dopo 2 o più notti di riposo limitato e sono necessarie almeno 2 giorni con un sonno corretto per riprendersi. Però la funzione cognitiva è compromessa dopo 16-18 ore di veglia portando a un deterioramento della capacità dell’operatore sanitario di interagire efficacemente con pazienti e colleghi.
Dall’analisi emerge inoltre la raccomandazione di non fare più di 3 turni notturni consecutivi. I dati provengono da fonti diverse, compresi i sondaggi dell’Associazione congiunta degli anestesisti, del gruppo di lavoro sulla fatica del Royal College of Anesthetists e della Faculty of Intensive Care Medicine e sono stati pubblicati sulla rivista Anesthesia.
Gli autori raccomandano anche che, per mantenere un corretto ciclo circadiano e garantire una miglior efficienza lavorativa, siano necessari riposini di almeno 20 minuti durante i turni di notte.
La ricerca ha dimostrato, inoltre, che guidare dopo essere stati svegli per 20 ore o più e al punto più basso circadiano del corpo (di notte o al mattino molto presto quando si ha più bisogno di dormire) è pericoloso quanto guidare da ubriachi. E i lavoratori che guidano a casa dopo un turno di 12 ore hanno il doppio delle probabilità di schiantarsi rispetto a quelli che lavorano in turni di 8 ore.
“Quando inizia la stanchezza, noi del team medico e infermieristico – rileva Redfern- siamo meno empatici con pazienti e colleghi, la vigilanza diventa più variabile e il ragionamento logico ne risente, rendendo difficile calcolare, ad esempio, le dosi corrette di farmaci di cui un paziente ha bisogno; facciamo fatica a tenere a mente nuove informazioni, cosa che rende difficile la gestione di situazioni di emergenza in rapido cambiamento. Il nostro umore peggiora. Tutto ciò che tiene noi e i pazienti al sicuro ne risente” e continua “Dobbiamo cambiare il modo in cui gestiamo i turni notturni per mitigare gli effetti della fatica. I turni di lavoro devono garantire a tutti un pisolino e che ci sosteniamo a vicenda per rimanere al sicuro e vigili quando lavoriamo di notte. Gli orari del personale dovrebbero consentire un tempo sufficiente tra i turni per un riposo adeguato e nessuno dovrebbe fare più di 3 turni notturni di fila”. La dottoressa conclude che, a causa di questi rischi, “l’assistenza sanitaria dovrebbe avere sistemi formali di gestione dei rischi come quelli richiesti dalla legge in ogni altro settore critico per la sicurezza”.
In tal senso, la Società Europea di Anestesiologia e Terapia Intensiva (ESAIC) sta lavorando alla produzione di linee guida per il lavoro notturno, mentre l’Associazione degli Anestesisti ha lanciato una campagna chiamata “fightfatigue”. Anche il Consiglio europeo di anestesiologia e la Fondazione europea per la sicurezza dei pazienti sono attivi in questo settore e la dott.ssa Redfern osserva come diverse nazioni stiano intraprendendo azioni in tal verso, tra cui Regno Unito, Romania, Paesi Bassi e Portogallo.
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