Chiamo Karla al telefono durante un piovoso pomeriggio di Giugno. Non ero molto in forma quel pomeriggio. I colloqui di presentazione dei servizi di Estetica Riabilitativa dell’Ospedale di Sesto, in alcune occasioni, li effettuo al telefono quando per problemi personali non riesco a raggiungere la struttura o, soprattutto, quando le signore, in terapia, fanno fatica ad uscire di casa. Karla, 57 anni, ucraina, inizialmente non risponde. “Starà lavorando”, ho pensato, sulla scia dell’esperienza avuta con Miriam, la donna di nazionalità marocchina che si alterna tra il lavoro di badante e la chemioterapia. Dopo cinque minuti, Karla richiama. Le chiedo di riattaccare così io possa contattarla.
Non parla benissimo l’italiano, ma capisco che ha studiato. La sorella è medico, il marito è poliziotto e le figlie, adulte, sono laureate. Lei è a Milano da 17 anni. Vive da sola. E’ qui per lavoro (“il nostro è un paese povero”) e qui si è ammalata di cancro. Il dialogo tra di noi è parso subito agitato. Karla è agitata. Dice che tra lei è il marito c’è “guerra”: lui non può raggiungerla perché lavora, lei ora men che meno può viaggiare. Hanno tanti problemi (di cui non fa cenno) e litigano tutte le volte che si sentono al telefono. Karla è disperata. E’ disperata all’idea di avere un cancro. E’ disperata perché la parola la terrorizza e perché sebbene la piccola massa, individuata al seno, sia stata rimossa, Karla non comprende perché debba sottoporsi a 12 sedute di chemioterapia. Mi racconta del medico di base, del medico che l’ha operata, dell’ecografia e della mammografia, della visita costatele 150 euro. Karla è un fiume in piena! Tra un singhiozzo e l’altro racconta che fino a due mesi fa era felice perché ha trovato lavoro come badante. Era molto felice di riprendere a lavorare. Ora, invece, si ritrova con una diagnosi, un intervento e 12 sedute di chemio. “Ho paura, Alessandra. Tanta paura”. La rassicuro circa la necessità della terapia: “ Vedi Karla, se i medici hanno prescritto la chemio, ci sarà un motivo! Probabilmente a seguito della rimozione della piccola massa, hanno pensato di agire in via preventiva. Non vogliono che si ripresenti in futuro il problema”.
La donna è demoralizzata. Racconta dell’attuale lavoro che serve a pagare l’affitto, le bollette e ora anche le cure. Ogni settimana si reca in ospedale per effettuare la chemio e poi per 4 giorni è “fuori uso”. Si ritrova a vomitare, ad avere dolori e bruciori alle gambe, ai piedi. E dice “No. Io non l’accetto. Non accetto la terapia”. Allora intervengo in questo aspetto cruciale “Nessuno pensa che la terapia sia una passeggiata. Ci mancherebbe!. Forse, accettare la terapia come una necessità per la tua salute attuale e futura, può aiutare a vivere questo periodo. Se ti rifiuti, anche il tuo corpo rifiuta. Il tuo corpo segue di pari passo la tua mente. E viceversa”. Karla piange. “Sì, Alessandra, hai ragione. Non posso prenderla in questo modo. Il problema è che non ho nessuno con cui parlarne. Le mie amiche lavorano come badanti e ci vediamo raramente”. Di rimando le ricordo che può parlare con me, se vuole: “Chiamami e ci vediamo in Ospedale, in una stanza allestita appositamente per i colloqui!! Io ci sono, se vuoi.”. Ora è più sollevata, mi ringrazia per il sostegno e mi chiede di vederci, dopo aver avuto la parrucca: “Ci vediamo, vero? Voglio conoscerti! Grazie di tutto. Grazie!”
Il supporto emotivo, quale quello offerto dal Counseling, aiuta tanto e risulta importante per la persona e per Karla, in particolare, visto che non può fare affidamento al sostegno sociale, in quanto sola a destreggiarsi tra “lavoro” e “salute”. Per questa donna è’ una enorme fatica. Sfiderei chiunque.