L’ADHD o Attention Deficit Hyperactivity Disorder (Deficit di Attenzione Iperattività Impulsività) rientra nel DSM-V tra i Disturbi del Neurosviluppo ed è caratterizzato da livelli invalidanti di disattenzione, disorganizzazione e/o iperattività-impulsività. In generale coinvolge la capacità di autoregolazione dell’individuo. Si osserva in circa il 5% dei bambini, potendo insorgere prima dei 7 ed entro i 12 anni di età, e nel 2,5% degli adulti. Nelle fasce adolescenziali prevalgono i sintomi disattentivi rispetto a quelli da iperattività/impulsività. Compromette il funzionamento in ambito sociale, scolastico ed evolutivo o in età adulta anche lavorativo. Nella fascia evolutiva più giovane può avere comorbidità in circa il 64% dei casi con il Disturbo Oppositivo-Provocatorio, nel 55% con l’ansia, nel 42% con i disturbi dell’apprendimento, nel 37% con la depressione, nel 25% con il Disturbo della Condotta e tra il 20/80% con i disturbi dello spettro autistico. La legge 170/2010 inserisce l’ADHD tra i disturbi specifici dell’apprendimento.
Tra i sintomi di disattenzione possono essere annoverati i deficit di attenzione focale e sostenuta, con scarsa attenzione ai dettagli, difficoltà a sostenere l’attenzione, la facile distraibilità, la difficoltà ad organizzarsi in compiti e attività varie, la difficoltà a seguire un discorso, le istruzioni, la difficoltà a terminare i compiti (non dovuta a comportamento oppositivo o a difficoltà di comprensione), l’evitamento di attività che richiedono sforzo cognitivo (ad es. compiti a casa o a scuola), la frequente perdita di materiale necessario per i compiti o altre attività.
I sintomi da iperattività sono invece riconosciuti come incapacità a stare fermi, nell’attività motoria incongrua e afinalistica, nel correre in giro e ad arrampicarsi eccessivamente (negli adolescenti e adulti può essere limitato ad una sensazione soggettiva di irrequietezza), nella difficoltà a giocare o ad impegnarsi in attività tranquille in modo quieto, nelle eccessiva loquacità, quando si agisce come se si fosse «spinti da un monito».
Tra le manifestazioni impulsive invece si possono riscontrare difficoltà di controllo comportamentale, l’incapacità di inibire le risposte automatiche, la scarsa capacità di riflessione, a rispettare il proprio turno,
la tendenza ad interrompere gli altri, l’incapacità di prevedere le conseguenze di un’azione, il mancato evitamento di situazioni pericolose, risposte anticipate prima che venga completata la domanda e quindi l’interruzione o il comportamento invadente verso gli altri nei contesti ludici e di conversazione.
Le manifestazioni comportamentali possono variare a seconda dello specifico contesto, scuola, casa, lavoro, in cui si presentano ma devono presentarsi in più contesti per poter essere riferite all’ADHD.
La difficoltà dei ragazzi con ADHD a regolare la propria condotta in modo autonomo ed interattivo nelle relazioni interpersonali li espone chiaramente ad una serie di critiche, pregiudizi, emarginazioni, specie se il problema non viene riconosciuto e diagnosticato. In tali casi, alle punizioni che potrebbero seguire a scuola, al senso di impotenza e sfiducia da parte dei genitori sulle proprie competenze genitoriale, quindi anche di sfiducia nei confronti del bambino con ADHD, al senso di frustrazione e rabbia dei fratelli che si sentono messi da parte, all’emarginazione ed isolamento sociale, può seguire un basso ed invalidante livello di autostima in chi ha ADHD. E’ importante perciò fare una tempestiva e corretta diagnosi, non limitandosi a considerare il disturbo come dovuto a fattori genetici e quindi con scarsa possibilità di recupero.
Infatti, quella genetica è solo una delle possibili ipotesi (Zametkin, 1989) circa le cause predisponenti al disturbo. Gli altri fattori di rischio sono di natura neurobiologica, psicosociale.
L’ipotesi ereditaria, sostenuta dalla ricerca sui gemelli, ha evidenziato una maggiore incidenza nei monozigoti che nei dizigoti (Shermann et al.,1997; Edelbrock et al., 1995; Biederman J, et al., 1990), ma altri studi hanno anche dimostrato che l’interazione fra gemelli monozigoti può dipendere sia da fattori genetici che ambientali (Joseph, 2002).
Altri fattori di rischio sono di natura biologica incidendo in fase pre e perintale con l’espressione di danni cerebrali, difficoltà nel decorso della gravidanza e difficoltà nella prima infanzia.
A livello neurobiologico si riscontra che nelle persone con un disturbo da ADHD vi è una ridotta dimensione della corteccia prefrontale destra e dei nuclei della base con livelli inferiori di dopamina e noradrenalina: questo comporta una minore capacità di inibire la risposta motoria a stimoli ambientali, di realizzare un’adeguata regolazione emotiva, di mantenere adeguati livelli di attenzione nei processi di pianificazione ed esecuzione delle risposte motorie (Castellanos et al.,1994-1996, Barkley, 1997).
L’ADHD: COS’E’ E COME SI MANIFESTA (seconda e ultima parte lunedì prossimo 24 Giugno)