- Adv -
L’osteoporosi e le sue conseguenze rappresentano un problema sempre più pressante per la salute della popolazione sia maschile ma soprattutto femminile. Purtroppo sino ad oggi le terapie che venivano attuate miravano esclusivamente, tranne scarsissime eccezioni, a ridurre o, per alcuni farmaci, bloccare il riassorbimento osseo. Ciò comportava il paradigma che dall’osteoporosi non si guarisce ma, se va bene, al massimo si rallenta o si ferma. Considerando quindi solamente una parte del metabolismo osseo questo poteva e doveva essere considerato vero. Con l’introduzione di nuovi farmaci come la teriparatide, l’abaloparatide e il romosozumab il paradigma “osteoporosi chi ce l’ha se la tiene” si sta modificando evidenziando anche a coloro che ritengono il farmaco l’unica via terapeutica che di osteoporosi si può guarire riportando la densità minerale ossea a valori di osteopenia o meno. Tuttavia i potenziali effetti collaterali ne limitano l’uso a solo due anni nel corso di tutta la vita per i derivati del paratormone, abaloparatide e teriparatide,ed addirittura ad un solo anno per l’anticorpo antisclerostina, il romosozumab. Nell’attesa che nuove molecole, come l’irisina od l’attivatore per il recettore adenosina A2B, mostrino la loro efficacia e quindi possano essere parte del potenziale terapeutico nelle mani del medico osteoporologo, la ricerca nella biochimica del metabolismo osseo ha permesso di focalizzare l’attenzione su sostanze presenti in natura che hanno dimostrato la capacità di interagire con le cellule deputate al riassorbimento ed alla ricostruzione della struttura ossea, gli osteoclasti e gli osteoblasti.
Tra di esse, recentemente, è entrata a far parte la cannabis con la sua molecola cannabidiolo o CBD. La cannabis si presenta in due specie diverse, anche se non vi è tuttora un accordo generale sulla differenziazione delle specie: Cannabis indica e Cannabis sativa. L’incrocio di questi due tipi ha portato poi ad una grande varietà di ceppi ibridi, cultivar, con caratteristiche uniche. Le sostanze prevalentemente presenti nella Cannabis sono il THC o tetraidrocannabinolo ed il CBD o cannabidiolo. Il THC ha prevalentemente effetti psicoattivi per cui è utilizzato come droga leggera ed è presente maggiormente nella cannabis indica mentre il secondo, prevalentemente sintetizzato dalla cannabis sativa, ha una azione farmacologicamente positiva in molte patologie. Come già detto, comunque, la distinzione in queste due tipologie di cannabis non è universalmente accettata, ma è invece importante la distinzione tra i due composti, THC e CBD, e la loro differenza da un punto di vista farmacologico quando vendono assunte.
L’interesse per l’attività terapeutica della Cannabis e del suo composto CBD (il cannabidiolo) nel corso degli ultimi anni è aumentato notevolmente e la scoperta dei recettori per la cannabis ha spiegato il meccanismo con il quale i composti in essa contenuti agiscono. Attualmente si conoscono due tipi di recettori per i cannabinoidi: il recettore CB1, scoperto nel 1990, e il recettore CB2, individuato nel 1993. Si suppone l’esistenza di un terzo tipo di recettore, ma ciò non è stato ancora confermato.
Nelle cellule ossee sono presenti quindi recettori CB1 e CB2 e canali TRPV1 sensibili all’azione dei cannabinoidi, cannabidiolo, il CBD, in prevalenza. Interessante a proposito dei recettori TRPV1 che sono anche recettori sensibili all’acidità (H+sensibili) e che quindi sono responsabili dell’iperattività riassorbitiva che si verifica in tutte quelle condizioni in cui vi sia un incremento dell’acidità tissutale, dall’alimentazione con attività metabolica acidificante all’ipoossigenazione tissutale, ma non solo.