Caffè e fragilità ossea: ci sono correlazioni?

Molti ricercatori hanno associato il consumo di caffè al miglioramento di alcune condizioni che si riflettono sulla nostra salute.

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Il  caffè  può essere considerata la bevanda più consumata al mondo e contiene molte sostanze chimiche complesse, tra cui carboidrati, composti azotati, vitamine, minerali e composti fenolici. Molti ricercatori hanno associato il consumo di caffè al miglioramento di alcune condizioni che si riflettono sulla nostra salute. Altri studiosi hanno suggerito invece che il consumo di caffè possa essere associato ad un aumentato rischio non solo di ipercolestrolemia ma anche di osteoporosi con una azione potenzialmente negativa che incrementerebbe le fratture da fragilità ossea. Il caffè non filtrato, in effetti, è una fonte significativa di cafestolo e kahweol, che sono diterpeni che sono stati implicati nell’incremento del colesterolo causato dal caffè. Il caffè, poi, contiene anche caffeina, che è una metilxantina la quale, favorendo la diuresi, incrementerebbe la calciuria, cioè l’eliminazione urinaria di calcio. Ma non solo; il caffè influenzerebbe inoltre l’equilibrio acido-base dell’interstizio sbilanciandolo nella direzione dell’acidosi tissutale. Questa necessiterebbe per il proprio riequilibrio della mobilizzazione di calcio dal sistema tampone per eccellenza, ovvero l’osso; calcio che, essendo più rapidamente eliminato con le urine, innescherebbe un circolo vizioso che porterebbe all’osteoporosi.

Tuttavia, nonostante queste premesse basate su presupposti biochimici e fisiopatologici, risultati derivanti da ricerche epidemiologiche, suggeriscono, al contrario, che il consumo di caffè può aiutare a prevenire diverse malattie croniche, tra cui diabete mellito di tipo 2, morbo di Parkinson e cirrosi epatica. Per quanto riguarda invece il rapporto tra fragilità ossea e consumo di caffè, nonostante questo incrementi la diuresi e con essa la calciuria e, ipoteticamente, porti ad un aumento dell’acidosi interstiziale le proprietà antiossidanti e antinfiammatorie del caffè sono in grado di opporvisi, contrastandone gli effetti negativi. Il caffè, essendo una complessa miscela di sostanze chimiche, fornisce anche delle sostanze dalle caratteristiche biochimiche salutari tra le quali anche una quantità significativa di acido clorogenico.  Nel caffè sono presenti infatti, dei polifenoli (acidi clorogenici) che hanno il potenziale di inibire l’osteoclastogenesi, riducendo quindi il rischio di osteoporosi. Inoltre è stato dimostrato che un’alta dose fisiologica di caffeina inibisce la secrezione di PTH nelle cellule paratiroidee umane, probabilmente a causa di una diminuzione del livello intracellulare dell’AMP ciclico, cosa che avviene, ad esempio, anche quando viene riequilibrato il valore ematico della vitamina D che, quando è carente causa un’iperparatiroidismo secondario e di conseguenza una fragilità ossea. L’acido clorogenico è una sostanza ad attivitrà antiossidante, che fa parte della famiglia dei fenoli. L’acido clorogenico più comune è l’acido 5-O-caffeoilchinico, che è, appunto, spesso chiamato acido clorogenico. Per chi lo beve, il caffè rappresenta la fonte alimentare più ricca di acidi clorogenici e acidi cinnamici (acido caffeico). L’acido clorogenico (CGA) ha un forte effetto protettivo sull’osteoporosi, strettamente correlato all’attivazione della via Nrf2 / HO-1. È stato dimostrato in uno studio del 2019 che questo polifenolo, l’acido clorogenico, attraverso questo canale, è in grado di contrastare l’osteoporosi indotta dall’uso di corticosteroidi che agiscono incrementando il danno e la morte mitocondriale degli osteoblasti.

È forse per questo che se prendiamo in esame i risultati di molte ricerche epidemiologiche, queste suggeriscono che il consumo di caffè può aiutare a prevenire diverse malattie croniche, tra cui il diabete mellito di tipo 2, il morbo di Parkinson e alcune malattie del fegato come la cirrosi ed il carcinoma epatocellulare nelle quali lo stress ossidativo gioca un ruolo primario. La maggior parte, inoltre, degli studi cosiddetti di coorte prospettici non ha rilevato un rischio significativamente aumentato di malattie cardiovascolari correlato al consumo di caffè, anche se il suo consumo è associabile all’aumento di alcuni fattori di rischio per malattie cardiovascolari, tra cui l’incremento della pressione sanguigna e dell’omocisteina plasmatica. Per gli adulti che consumano moderate quantità di caffè (3-4 tazze / die che forniscono 300-400 mg / die di caffeina), ci sono poche prove di rischi per la salute e alcune prove, al contrario, di potenziali benefici per la salute. Tuttavia, alcuni gruppi, comprese le persone con ipertensione, bambini, adolescenti e anziani, possono essere più vulnerabili agli effetti avversi della caffeina. Inoltre, le prove attualmente disponibili suggeriscono che potrebbe essere prudente per le donne in gravidanza limitare il consumo di caffè a 3 tazze / giorno fornendo non più di 300 mg / giorno di caffeina per escludere qualsiasi maggiore probabilità di aborto spontaneo o alterata crescita fetale.

Le concentrazioni di caffeina nelle bevande al caffè possono essere abbastanza variabili. Si può presumere che una tazza di caffè standard fornisca 100 mg di caffeina, ma una recente analisi di 14 diverse qualità di caffè acquistate nelle caffetterie negli Stati Uniti ha rilevato che la quantità di caffeina variava nelle somministrazioni di circa 240 ml di caffè, dose standard per il caffè americano. Inoltre i fattori che aumentano il colesterolo, inizialmente isolati nell’olio di caffè, sono stati successivamente individuati essere dei diterpeni, il cafestol e il kahweol, che vengono estratti dal caffè macinato durante la preparazione, ma che per lo più vengono rimossi dal caffè dai filtri di carta. Il caffè bollito scandinavo o il caffè turco contengono livelli relativamente alti di cafestolo e kahweol (6-12 mg / tazza), mentre il caffè filtrato tipo moKa, il caffè percolato e il caffè istantaneo contengono bassi livelli di cafestolo e kahweol (0,2 –0,6 mg / tazza). La caffeina nei caffè espresso variava da 58 a 76 mg in una singola dose. È interessante notare che il contenuto di caffeina dello stesso tipo di caffè acquistato dallo stesso negozio in sei giorni separati variava da 130 a 282 mg per porzione da 240 ml (caffè all’americana).

In uno studio condotto su un numero rilevante di persone, in termini di consumo di caffè, tra consumatori o meno di caffè non è stata rilevata una differenza statisticamente significativa tra il gruppo di casi (soggetti che assumevano caffè) e il gruppo di controllo (χ 2 = 0,615, p = 0,735) negli indicatori di riassorbimento osseo. Si può osservare che all’incirca lo stesso numero di donne in entrambi i gruppi ha consumato caffè ≥ 3 tazze / giorno, in un gruppo di casi, il 32% nel gruppo di controllo il 27%. Moderato, o 1-3 tazze / giorno ha consumato il 37% delle donne in un gruppo di casi e il 39% degli intervistati nel gruppo di controllo.  Non ha bevuto il caffè il 31% delle donne in un gruppo di casi e il 34% del gruppo di controllo. Questo dimostra, al di la dei dati statistici, un po’ astrusi ma che devono essere riportati per certificare la serietà dello studio, che non vi è una differenza statisticamente significativa tra chi consuma caffè e chi invece non lo beve in relazione all’insorgenza dell’osteoporosi.

In un altro studio i dati di 2682 partecipanti comprendenti 1195 uomini e 1487 donne (706 in premenopausa e 781 in postmenopausa) sono stati utilizzati nelle analisi finali per verificare l’impatto del caffè sull’osteoporosi.In base allo stato della menopausa, sia il consumo medio che alto di caffè erano significativamente associati a punteggi di T-score più alti tra le donne in premenopausa (β = 0,233; P  = 0,0355 per mezzo e β = 0,234; P  = 0,0152 per consumo elevato di caffè).

In linea con lo questo studio, il consumo moderato di caffè è stato significativamente associato all’aumento della BMD (indicatore della massa ossea) tra 992 uomini cinesi con un’età media di 64,11 anni. Inoltre, il consumo di caffè è stato associato con un aumento del BUA (attenuazione degli ultrasuoni a banda larga, che indica la della qualità dell’osso), e quindi un minor rischio di osteoporosi tra 344 donne malesi di età pari o superiore a 50 anni.

Pur non essendoci prove assolutamente inconfutabili, e questo anche, probabilmente, per le concentrazioni variabili delle diverse molecole presenti nei vari tipi di caffè, è possibile concludere che il caffè, bevuto moderatamente, non rappresenti un rischio per la salute del nostro tessuto osseo ma, anzi, al contrario può essere considerato come un buon antiossidante e quindi capace di poter, almeno parzialmente, contrastare la perdita di massa ossea.

 

Dott. Gianfranco Pisano Laureato in Medicina e Chirurgia all’ Università la Sapienza Roma Master in Medicina dello Sport, Università di Siena Master malattie metaboliche dell'osso, osteoporosi, Università di Firenze Master Fitoterapia, Università di Trieste e Computense di Madrid

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