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I due strumenti terapeutici non devono essere vissuti emotivamente come antagonisti in quanto il loro “accoppiamento” sinergico, con molta probabilità, rappresenterà la vera “road map” che ci accompagnerà alla definitiva soluzione di questa tremenda e dolorosa esperienza epidemica. La recente epidemia di covid-19 ha prodotto troppe insicurezze che hanno a loro volta contribuito ad annebbiare la giusta visione complessiva della “topografia” del virus. Inizialmente la estrema esplosività e violenza con cui il virus si è manifestato nel nostro Paese ha colto di sorpresa ( anche se sembra che il Governo sapesse dai primi giorni di gennaio già da almeno 4 settimane la potenziale serietà dell’epidemia che sarebbe esplosa di li a poco) tutto il nostro servizio sanitario e questo ha messo in crisi temporaneamente la nostra capacità di risposta clinica e terapeutica. Con il diffondersi dell’epidemia ed il conseguente pieno coinvolgimento del nostro personale sanitario le conoscenze sono man mano aumentate sul campo e si è iniziato a comprendere che la malattia non si manifestava in tutte le persone colpite nel medesimo modo ma in alcune si evolveva molto più severamente che non nelle altre. Questa severità si manifestava in una drammatica ed eccessiva risposta infiammatoria ed immunitaria che, per le dimensioni che assumeva, portava a sviluppare un severissimo quadro di insufficienza ventilatoria e microcircolatoria alla cui base stava una polmonite interstiziale. Successivamente si è capito che tutta questa situazione era verosimilmente innescata da una rapidità di replicazione virale a due velocità, lenta in alcuni individui e rapida in altri. Gli individui che “replicavano” più velocemente il virus e giungevano, quindi, in breve tempo ad accumulare una carica virale significativa erano quelli che poi avrebbero sviluppato i quadri clinici successivi più severi. A questo punto era evidente, pur senza conoscere nel dettaglio i passaggi fisiopatologici che a livello cellulare erano responsabili del progredire della malattia, che la malattia stessa si articolava in due fasi. La prima fase era quella di replicazione e rafforzamento della presenza del virus all’interno dell’organismo e delle cellule, mentre la seconda fase era quella in cui si sviluppava la ormai nota “tempesta immunitario-infiammatoria” che complicava in modo anche letale il decorso della virosi. Alla luce di questa corposa esperienza pratica le conclusioni che si possono trarre con verosimile certezza sono le seguenti:
1) il virus prende forza nelle prime fasi della malattia ( tendenzialmente circa nei primi 7/10 gg dall’esordio dei sintomi)
2) in assenza di interventi terapeutici rapidi nella prima fase della virosi, la virosi stessa evolve nella seconda fase più complicata da gestire.
3) la strategia terapeutica migliore, anche per i prossimi mesi, può essere quella di intervenire rapidamente appena i sintomi si manifestano anche con l’utilizzo di presidi terapeutici ormai conosciuti come idrossiclorochina, antivirali, sintomatici. Le scelte terapeutiche dovranno chiaramente essere decise dai medici territoriali di prossimità (i medici di famiglia).
Questo giusto ed equilibrato atteggiamento terapeutico ci permetterebbe di raggiungere con serenità ed efficacia il periodo in cui sarà messo a disposizione il vaccino che alcuni consorzi stanno già allestendo ( si ipotizza a cavallo tra la fine del 2020 ed i primi mesi del 2021) attraverso le 4 fasi che una qualsiasi sperimentazione di un protocollo sanitario deve necessariamente ed ordinariamente seguire.