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La famosa “fase 2” ci getta nuovamente verso nuove incertezze, in cui è difficile poter prevedere, progettare, immaginare scenari per la nostra vita. Ci si muove fluttuanti, con speranze di un ritorno alla “normalità”, verso cioè qualcosa di conosciuto, appreso, una routine che ci potrebbe rassicurare..
Come naviganti alla deriva, desideriamo scorgere da lontano la nostra terraferma, perché di lei conosciamo i colori, i profumi, le zone da evitare e quelle più piacevoli..
Invece ci accorgiamo che la terraferma che stiamo avvistando non è esattamente la nostra, quella già conosciuta in lungo e in largo, ma un’altra terra.. inesplorata e straniera.
Ci guardiamo sbigottiti ed increduli dalla nostra zattera: abbiamo lasciato qualcosa che oramai era assodato e ci siamo risvegliati in un mondo diverso.. estraneo..
Ed ora l’incredulità, quella che abbiamo dopo uno “shock”, si mescola alla rabbia, quella di non voler lasciare quello che avevamo dato per scontato, ma non ce ne eravamo accorti, come le strette di mano, le pacche sulle spalle, gli abbracci che esprimevano calore, vicinanza, affetto, complicità, condivisione.. poter scegliere se stare vicini o più distanti.. scegliere se uscire o rimanere a casa, o andare a casa di qualcuno.. scegliere se andare a fare una passeggiata e soprattutto dove andare a farla.. scegliere in quale ristorante entrare, quale supermercato, quale negozio…
Frustrati e delusi altaleniamo “tristezza” e “paura” per quello che abbiamo capito non poter controllare, noi che pensavamo di poter “governare” gli eventi.. E’ stato sufficiente un piccolo virus per farci notare come non esista nessuno stato di “diritto”, per farci riscoprire esseri meravigliosi ma finibili, esseri unici ma con un tempo non illimitato, esseri umani con potenzialità e risorse incredibili ma che utilizziamo solo in minima parte..
Entrare in questa nuova vita che si apre, porta l’incertezza di qualcosa di sconosciuto, ma anche la sfida ad “apprendere” modalità diverse di lavoro, distanze mai immaginate.. significa mettere in discussione ciò che fino a tre-quattro mesi fa era assodato.
La sfida è ora quella di “accordarci con la tempesta”, imparare a convivere con questo virus, più che combatterlo.. in questo sforzo il senso di “comunità” può aiutarci, nel vedere l’Altro come una risorsa, un compagno di viaggio e non come un nemico, uno da combattere. Il pericolo è il virus, non l’Altro..
La sfida è accettare di portare continuamente l’attenzione su di noi, verificando di non passare dal negazionismo di “non c’è nessun pericolo” all’angoscia paralizzante di “tutti gli Altri sono un pericolo”, perché in entrambi i casi il prezzo da pagare sarà di non stare più in relazione con le persone..
La sfida è quella di far si che le “regole” imposte non debbano, mai e poi mai, superare le persone.. che la paura non annebbi il senso critico, facendoci diventare meri “esecutori” o “burocrati” nel fare rispettare le leggi, senza vedere al di là di queste, senza vedere che dietro di esse ci sono delle persone..
“Conoscere la tempesta” significa anche lasciare un margine di possibilità all’imprevedibilità, al fatto che non potremo controllare ogni evento, ma potremo controllare i nostri comportamenti, quelli si.. che dovremo assumerci responsabilità e rischi calibrati, perché nessuno ci darà un manuale da seguire, quasi come sempre nella vita..
La sfida sarà accettare che il virus è parte integrante della nostra esistenza, perché demonizzare “Lui” significa condannare le persone, guardarle come nemici, trattarle con maggiore distanza di quello che ci viene imposto; non alzare lo sguardo sull’altro nemmeno attraverso la mascherina, non avvicinarci nemmeno quando, dotati di tutti i presidi, vedremo un’altra persona in difficoltà e bisognosa di contatto..
Accettare una nuova situazione mantenendo il giudizio critico, esaminare, valutare e contestualizzare la nostra esperienza quotidiana, andare oltre il “giusto e sbagliato”… questo il cambiamento che ci attende, tutti insieme.