A identificarla, su 50 volontari, è stata la ricerca italiana pubblicata sulla rivista Scientific Reports e condotta dalla Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (Sissa) di Trieste e dall’università Trieste.
Accade spesso che quando le intenzioni e l’esito di un’azione sono in conflitto, si faccia appello alle buone intenzioni: è una “caratteristica del giudizio morale che non conosce differenze tra le diverse culture di appartenenza”, ha osservato Indrajeet Patil, primo autore della ricerca presso la Sissa e attualmente ad Harvard. “Fino a oggi però – ha aggiunto – c’erano pochi studi che affrontavano la questione da un punto di vista anatomico, per capire se differenze nel volume e nella struttura di determinate aree del cervello potevano spiegare variazioni nel giudizio morale. Con questa ricerca abbiamo cercato di esplorare proprio questo aspetto”.
Dalla ricerca è emerso che alla base di queste valutazioni ci sarebbe una specifica area del cervello, il cosiddetto solco temporale superiore anteriore sinistro. L’esperimento che ha permesso di individuarla è stato condotto presso la Sissa da Giorgia Silani, ora nell’Università di Vienna. Utilizzando una tecnica non invasiva come la Risonanza magnetica, i ricercatori hanno analizzato l’attività cerebrale di 50 volontari mentre rispondevano a un questionario esprimendo dei giudizi morali su storie i cui protagonisti erano colpevoli di errori gravi ma involontari.
“Quello che abbiamo scoperto – ha detto Patil – è che il volume della materia grigia presente nel solco temporale superiore anteriore sinistro sembra avere un’influenza sul giudizio espresso dagli individui”. In particolare, quanto più l’area è sviluppata, tanto più le persone sono portate a essere indulgenti con colui che ha causato il danno.
L’area era già nota per essere implicata nella capacità di rappresentare lo stato mentale degli altri e la capacità di perdono sarebbe dovuta ad una maggiore capacità di ‘immedesimazione’ nel protagonista e quindi nella non intenzionalità dell’atto.