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La ginecomastia, ovvero la proliferazione del tessuto ghiandolare mammario nel maschio, è una condizione frequente ma poco studiata. I dati di prevalenza disponibili si basano su popolazioni selezionate di pazienti o casi autoptici con i loro bias intrinseci. Con l’obiettivo di valutare l’incidenza legata all’età e il trend sul lungo periodo della ginecomastia nella popolazione generale, è stato appena pubblicato uno studio osservazionale di 20 anni usando i dati del registro nazionale danese.
Sono stati coinvolti tutti i soggetti danesi di sesso maschile con una prima diagnosi di ginecomastia. In particolare, spiegano gli autori, coordinati da Anders Juul, direttore del Dipartimento di Crescita e Riproduzione al Rigshospitalet di Copenhagen, «sono stati identificati tutti i maschi danesi (di età compresa da 0 a 80 anni) con diagnosi di ginecomastia riportata nel Registro nazionale danese nel periodo dal 1998-2017 utilizzando l’Icd-10 (International Codes of Diseases) e il sistema danese di classificazione dell’assistenza sanitaria».
I ricercatori hanno quindi stimato i tassi di incidenza specifici per fasce d’età. Complessivamente sono stati registrati 17.601 maschi (0-80 anni) con una diagnosi incidentale di ginecomastia nel periodo di studio di 20 anni, corrispondenti a 880 nuovi casi all’anno e a un’incidenza media in 20 anni di 3,4 per 10.000 uomini (0-80 anni). L’incidenza media annuale è stata di 6,5/10.000 nei maschi di età post-puberale compresa tra 16 e 20 anni e di 4,6/10.000 nei maschi di età compresa tra 61 e 80 anni, con un aumento complessivo rispettivamente di 5 e 11 volte in queste due fasce di età lungo il periodo di 20 anni. Dunque, concludono gli autori, «l’incidenza della ginecomastia è aumentata notevolmente negli ultimi 20 anni». Questo, sostengono Juul e colleghi, implica che l’esposizione agli steroidi sessuali endogeni o esogeni è cambiata, il che è associato ad altre conseguenze negative per la salute degli uomini come un aumentato rischio di cancro alla prostata, sindrome metabolica, diabete di tipo 2 o disturbi cardiovascolari» concludono gli autori. Da notare che questa ipotesi, testata nello studio, è stata formulata prima della raccolta dei dati.
A.Z. J Clin Endocr Metab, 2020 Jul 7. Doi: 10.1210/clinem/dgaa440
https://academic.oup.com/jcem/article-abstract/doi/10.1210/clinem/dgaa440/5868100