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L’avvento del COVID-19 ha bruscamente cambiato la condizione e la percezione emotiva delle persone, esponendole, seppur a livelli diversificati, a sentimenti negativi, insicurezze e disagio.
Il Covid-19 può essere considerato un disastro collettivo, un trauma che provoca dolore dovuto ad un evento negativo che viene recepito diversamente a seconda della predisposizione personale e alla capacità del soggetto di sostenere le conseguenze.
Una ricerca condotta dall’Istituto Elma Research in Francia, Germania, Gran Bretagna, Italia, Spagna, Polonia su 1000 persone ha evidenziato che l’epidemia da Covid-19 ha provocato disturbi psicologici durante il lockdown nel 65% degli italiani, 63% dei britannici, 69% degli spagnoli e 50% dei tedeschi, con una media europea del 58%.
Tra i sintomi si registra:
– insonnia, difficoltà a dormire o risvegli notturni (19%),
– mancanza di energia o debolezza (16%),
– tristezza o voglia di piangere (15%),
– paure e timori eccessivi (14%),
– mancanza di interesse o piacere nel fare le cose (14%),
– panico e attacchi di ansia (10%).
Infine, il 61% ha avuto almeno due di questi sintomi.
Forse vale la pena di ripetere il dato italiano: l’epidemia di Covid-19 ha provocato disturbi psicologici durante il lockdown nel 65% degli italiani.
Il Covid-19 provoca quindi disorientamento tra la popolazione fino ad un’alterazione dell’attività psichica, infatti si registra un incremento di disturbi da stress traumatico che causano comportamenti come l’evitamento, la presenza di alterazione di pensieri ed emozioni. Inoltre, il trauma psicologico può avere conseguenze varie come lo sviluppo di un Disturbo post traumatico da stress (PTDS).
Sale la domanda di supporto psicologico mentre il tempo passa e non si riesce a scorgere la fine di quella che io definisco “l’epoca della passione triste da Covid-19”.
La pandemia ha innalzato l’incertezza negli svariati settori dell’esistenza umana, quali il lavoro, le relazioni sociali e, ovviamente, la salute fisica e psichica.
Molte persone si chiedono: “Quando tornerà tutto alla normalità?”, ma di quale normalità stiamo parlando? Perché la “normalità” che ci aspetta, sarà sicuramente diversa da quella alla quale eravamo abituati.
Questa pandemia è una frattura: nulla sarà come prima e non sappiamo quanto durerà ancora la fase dell’emergenza.
Siamo quindi di fronte ad una situazione per molti versi nuova e che traccia uno scenario apocalittico, che conduce l’umanità a domande ancora in attesa di risposta e a porre riflessioni esistenziali, non ultima quella sulla precarietà dell’esistenza.
QUALE PROSPETTIVA?
L’essere umano ha un bisogno innato di sicurezza. La sensazione di controllo sulla propria vita e sull’esistenza in senso più generale fa supporre, tramite l’immaginazione, cosa potrebbe accadere “da qui in poi”, indicando il mezzo migliore e le strategie per gestire le nostre emozioni e le situazioni a cui siamo esposti.
Sembra essere stato tolto il velo di Maya che rivela come l’essere umano non sembrerebbe in grado di poter controllare l’esistenza in modo assoluto.
Io credo che, piuttosto di intraprendere una ricerca utopica e anacronistica, sia maggiormente utile e funzionale recuperare la speranza nel futuro.
Ne usciremo?
Sì, attraverso una crescita postraumatica. Sarà fondamentale una riorganizzazione collettiva e interiore per dare luogo ad una rinnovata consapevolezza.
LA CRESCITA POSTRAUMATICA
L’esperienza del Covid-19 può insegnare a trasformare un episodio negativo in un evento arricchente e di crescita. E’ possibile quindi convertirlo in uno stimolo attraverso la capacità di fronteggiare un evento così critico poiché in tali circostanze emergono risorse assopite e inaspettate che poi diventano parte integrante dell’esperienza in ciascun individuo.
E’ indiscutibile che viviamo in un momento in cui ci sentiamo “sospesi”con la vita, come se continuare a vivere significasse vivere con l’ansia e l’incertezza del futuro.
Ma la qualità della vita va recuperata e auspicato il cambiamento, come dopo tutti i periodi di crisi epocali. In tal modo dopo l’elaborazione del trauma, ci si può ritrovare più forti proprio per essere riusciti a superare eventi cosi drammatici. Seguendo questa via, è possibile quindi cambiare la prospettiva della vita e delle cose, aver voglia di ripartire, di ricostruire e di modificare i valori di senso.
In questa prospettiva, recuperare il futuro dall’incertezza generata dal COVID-19, significa
utilizzare l’”antidoto” ad ampio spettro per contrastare lo stress, l’ansia etc. a cui l’attualità ci espone, ovvero:
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attenersi alle regole che la scienza ci indica,
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esplorare la curiosità della produzione scientifica,
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considerare maggiormente la prospettiva della provvisorietà e dell’imprevidibilità di ciò che riserva il futuro, togliendoci l’illusione che il mondo sia prevedibile,
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lavorare sulla motivazione, adottare comportamenti di autoprotezione emotiva per aiutare le strategie e la resilienza delle persone;
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attivare risorse individuali e di rete, usufruire dei luoghi di ascolto, degli spazi per l’analisi e per la terapia,
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fruire di interventi cognitivi e comportamentali per agevolare la crescita post traumatica, funzionale all’elaborazione affinché avvenga l’auspicata ripresa, funzionale alla ricostruzione del futuro e della fiducia.
Un recupero essenziale quindi, indispensabile per far accrescere risorse e modalità di pensiero per riprogettare un’esistenza equilibrata ed armonica.
L’uomo si può difendere con la conoscenza e l’ascolto dell’esperienza scientifica, recuperare così qualità della vita e il rapporto tra uomo, natura ed ambiente. La speranza non solo ci aiuta ad accettare meglio la vita, ma anche a definire e progettare un futuro migliore, dettato fiduciosamente da positività ed ottimismo.
E’ un percorso di cambiamento interiore, “un atto di resilienza” in grado di condizionare appassionatamente il nostro pensiero con valori migliorati e adatti a combattere le emozioni di negatività e paura conseguenti alla pandemia.