La Fondazione Osteoporosi

La Fondazione Osteoporosi si propone di contribuire alla sensibilizzazione della popolazione, dei medici e dell’autorità pubblica sulla diffusione della malattia, sottolineando gli aspetti sia di prevenzione che di cura.

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Nel 1986, un gruppo di medici e “laici” (così definiscono in campo medico gli appartenenti alla società civile) danno vita alla Lega per l’Osteoporosi. Tra i soci fondatori va annoverata Claudia Matta che due anni dopo viene insignita dal Quirinale dell’onorificenza di Cavaliere del Lavoro. La “mission” riguarda sostenere e promuovere la ricerca scientifica e l’attività clinica. Nel 1993, si trasforma in Fondazione Osteoporosi Piemonte e dal 2016 le viene riconosciuto il livello di attività nazionale. Si propone di contribuire alla sensibilizzazione della popolazione, dei medici e dell’autorità pubblica sulla diffusione della malattia, sottolineando gli aspetti sia di prevenzione che di cura.

L’attuale Presidente, Giancarlo Isaia, riepiloga tre obiettivi nel Congresso della Fondazione, celebratosi di recente. Innanzitutto la prevenzione, in secondo luogo la formazione per i medici e gli operatori sanitari. Da trent’anni si organizza un corso di aggiornamento a Torino, quest’anno forzatamente “on line”, punto di riferimento per lo studio delle malattie metaboliche dell’osso. Infine, si fa pressione sulle istituzioni. «Il problema dell’osteoporosi è affrontato in modo superficiale. In questo momento di grave difficoltà può apparire improprio parlare di osteoporosi ma i pazienti devono essere curati». Si intende «formare un piccolo numero di persone interessate a divulgare questo messaggio». Intervengono Giovanni Minisola, reumatologo di Roma, Fabio Vescini da Udine, Anna Lisa Reggi, giornalista di Roma, l’avvocata Renata Cantatore, dirigente dell’Inail ed Elisabetta Barberis, Prorettore dell’Università di Torino.

Anna Lisa Reggi è giornalista, autrice di documentari per la televisione (“La Mala del Brenta”, “Gli Italiani sul Titanic”, “Fighting Paisanos”): «Avrei voluto fare il medico, la vita è andata diversamente!». L’osteoporosi è definita “nemico invisibile”, «una definizione calzante». La storia inizia sei anni fa (oggi la giornalista ha 48 anni), «non ne sapevo nulla», l’etimologia richiama l’idea di piccoli fori delle ossa. «Non mi sentivo vecchia, anzi mi sentivo anni in meno rispetto all’età biologica. Conducevo uno stile di vita regolare (secondo il mio punto di vista). Camminavo molto, non fumavo, non bevevo». Soffre per quattro anni di amenorrea e conta nel suo passato cinque anni di anoressia durante gli studi universitari. «Con il sole ho un rapporto a distanza, giro con la “protezione 50” nella borsa». Vive a Roma ma è originaria di Lugo di Romagna, dal clima sovente nebbioso. Tra i fattori familiari cita la nonna, anch’essa sofferente di osteoporosi. La malattia «è entrata con passo felpato, non me ne sono accorta». Dopo un periodo di lavoro intenso si è trovata a non riuscire manco ad appoggiare i piedi. Si è fatta visitare a Milano ma nulla è emerso dai raggi. Dalla risonanza magnetica è emersa una frattura del primo e quinto metatarso, l’esame del sangue ha rivelato valori soglia per vitamina D e calcio, transaminasi fuori norma. Ha l’immagine della prima densitometria ossea (BMD) «scolpita in modo indelebile, ero ansiosa di “feedback”». Sente parlare di osteoporosi e, in un primo tempo, tira un sospiro di sollievo per poter «dare un nome ad un dolore che non trovava spiegazione». Riflette amaramente che se per il cuore si va dal cardiologo, non esiste invece l’osteoporologo. Trasferita a Roma, inizia la ricerca di cure, consapevole che la malattia «richiede un approccio multidisciplinare». Va dal reumatologo, dall’internista, dall’ortopedico raffrontando le diverse opinioni. Intanto i piedi non sono più solo doloranti, cominciano a gonfiare e impara due nomi nuovi, algodistrofia e bifosfonati. L’edema della spongiosa ossea migra da un piede all’altro, con entrambi i piedi gonfi deve rinunciare a viaggi, offerte lavorative. Su Internet si imbatte nella Fondazione, nel sito della SIOMMS (Società italiana dell’osteoporosi, del metabolismo minerale e delle malattie dello scheletro), allora era presidente il prof. Isaia. «E’ l’inizio della svolta, oggi si parla di medicina narrativa, ho avuto l’impressione di trovarmi di fronte a qualcuno che ascoltasse la mia storia clinica». Segue la terapia ormonale sostitutiva (TOS), cura l’alimentazione, la vitamina D, «l’esposizione al sole tutti i giorni per venti minuti è fondamentale per un apporto adeguato di calcio». Ricomincia una vita “seminormale”, riprende le camminate a cui era abituata, i risultati degli esami sono soddisfacenti. A fine 2018, la sintomatologia del dolore ricompare in maniera importante. Decide di ricorrere ad un bifosfonato particolare, ma il dolore scompare qualche mese dopo senza aver avviato la terapia. Pare esservi una correlazione tra la componente psicologica e fisiologica, dato che i dolori compaiono sempre dopo un periodo di stress.

Elisabetta Barberis scopre l’osteoporosi a 64 anni da un improvviso mal di schiena. Il primo pensiero va ai fattori più banali, la fatica nel chiudere e aprire casa, il letto scomodo. Consulta un ortopedico e nel giro di un mese scopre la frattura spontanea di una vertebra. Un busto le consente di continuare a lavorare mentre cerca di approfondire le cause della frattura. Ha facilità di accesso a specialisti che si occupano di osteoporosi, viene inserita in un percorso di cura a Torino. L’anno successivo si frattura spontaneamente la seconda vertebra, cambia tipo di farmaco salendo di gradazione. Si tratta di iniezioni quotidiane, il vero problema è la conservazione in frigo per chi viaggia per lavoro, «ho scoperto che esistono frigoriferi nei posti più impensati!». Si rammenta che una decina di anni prima la ginecologa le aveva prescritto una BMD, i valori si erano rivelati “border line”. Il secondo esame, sei anni dopo, non aveva valori particolarmente gravi, anche dopo la frattura della vertebra i risultati non erano «spaventosi». Una parte di responsabilità è nella mancata assunzione di alimenti quali latte, formaggio, nell’attività fisica poco frequente, «non mi sono preoccupata di prevenzione». Imputa parte della responsabilità alla medicina, nessun medico di base, «nessuna campagna di tipo governativo spinge le donne più o meno giovani a fare attenzione all’osteoporosi». Ci si deve preoccupare di seguire stili di vita sani e controlli opportuni. L’attenzione all’osteoporosi potrebbe essere legata ad altri tipi di prevenzione come la “Prevenzione Serena” per il tumore alla mammella, del collo dell’utero e del colon retto, si potrebbero raccogliere vari aspetti in un unico pacchetto che il medico di base invita a seguire. In quanto ricercatrice, sottolinea l’assoluta necessità della ricerca, non solo per farmaci adatti ai diversi tipi di situazione. «Nella mia esperienza di paziente, è probabilmente necessario affinare l’evidenziazione dei primi sintomi, individuare meglio i valori soglia».

L’avvocata Renata Cantatore lavora per l’Inail, l’ente pubblico che si cura degli infortunati ma che «si occupa anche di prevenzione». Il fondamento giuridico è il diritto alla salute costituzionalmente garantito. L’OMS definisce la salute non come semplice assenza di malattia o infermità ma come stato di benessere psicofisico, i concetti di benessere e di salute interagiscono. La prevenzione è l’insieme di attività che intervengono al fine di promuovere e conservare lo stato di salute ed evitare l’insorgere della malattia. La pandemia ha dimostrato l’importanza della prevenzione primaria ma anche in questo momento non si deve sottovalutare l’importanza di svolgere campagne di prevenzione per l’osteoporosi. Il picco dell’incidenza è sulla medesima fascia d’età a rischio per la pandemia. Si assomma la difficoltà di recarsi in ospedali già in affanno per la pandemia e la probabilità di contrarre il virus. La frattura del collo del femore ha un tasso di mortalità del 5% in fase acuta, del 15-25% entro l’anno, ha la stessa importanza dell’ictus e del carcinoma mammario. Ne consegue la riduzione della capacità di deambulare in modo autonomo. Tra le buone prassi che propone, occorre favorire l’attività territoriale, concedere al territorio la possibilità di accedere al piano terapeutico, in un’interazione auspicata  tra territorio e ospedale. Elenca le caratteristiche che dovrebbero assumere i centri per l’osteoporosi territoriali: competenze culturali, diagnostica di buon livello, organizzazione di incontri informativi, promozione di educazione alimentare e di attività motoria, sostegno psicologico. Va ristabilita l’alleanza medico paziente, anche attraverso riunioni a distanza.

Giovanni Minisola è direttore scientifico della Fondazione san Camillo Forlanini per lo sviluppo dell’eccellenza clinica e della ricerca biomedica, a Roma. Presenta la collaborazione con l’associazione Fidapa di cui la vicepresidente della Fondazione, Stefania Chinellato, riveste il ruolo di Presidente per la sezione Nord Ovest. Tra gli obiettivi dell’associazione, si legge “essere portavoce delle donne che operano nel campo delle arti e delle professioni… presso organizzazioni e istituzioni nazionali”. L’osteoporosi è una patologia con una forte impronta femminile. Si domanda cosa sia ragionevole chiedere alla Fondazione per l’osteoporosi. «Una guida autorevole ed esperta c’è già», alludendo al prof. Isaia. «In questa situazione pandemica è stato pronto nel sollevare il problema della possibile relazione di deficit della vitamina D ed infezione del Coronavirus». La Fondazione individua bisogni insoddisfatti, si prende in carico problemi assistenziali, promuove educazione e formazione. Individua criticità sul versante delle istituzioni e dei pazienti. Presenta la scheda predisposta dalla Regione Lazio per  la prescrizione del colecalciferolo per uso orale in pazienti adulti in caso di dimissione dall’ospedale o per prestazione ambulatoriale. La complicazione creata dalla Nota 96 (G.U. ottobre 2019) e dalla circolare applicativa del 14-11-2019 ha avuto ripercussioni negative per chi ha effettivamente bisogno di vitamina D. Sottolinea in particolare l’ostruzionismo burocratico. Non vi può essere un’appropriatezza di tipo clinico in assenza di appropriatezza organizzativa, burocratica, amministrativa. La sostenibilità è nell’ottica della società la garanzia di poter avere qualcosa, nell’ottica del Sistema Sanitario Nazionale, diviene l’atto del razionalizzare, nell’ottica del decisore si tramuta in ottimizzare. Purtroppo questi ultimi due verbi degradano in “razionare” e “tagliare”. Altre criticità consistono nell’assenza di interazione tra ospedale e territorio («l’esperienza di questo periodo lo dimostra ampiamente»), l’importanza di una diagnosi precoce. Lamenta un alto tasso di disinformazione del paziente che prende decisioni in materia di salute consultando i “social”.

Fabio Vescini narra l’esperienza in Friuli, «ci siamo permessi il lusso di mantenere un certo numero di telefonate quotidiane per prendere visione degli esami con il sistema informatico e rinnovare il piano terapeutico per il paziente». L’osteoporosi è una malattia pediatrica con conseguenze geriatriche. Ha quattro figli e «qualcuno dei maestri mi ha invitato a parlare alla classe perché aveva ragazze con un iniziale problema di malnutrizione». Commenta la tendenza degli amministratori al risparmio, ridurre la prescrizione di vitamina D porta ad un calo della spesa pubblica ma «non paga a lungo termine, la prevenzione delle fratture la vediamo tra dieci, vent’anni quando la popolazione che trattiamo oggi invecchia. Ogni frattura di femore all’anziano è un fallimento colossale per la nostra sanità». Tra quindici e venti mila euro ammonta la spesa per ricovero, protesi a cui si aggiungono i costi di mantenimento della disabilità (l. 104).

Il Presidente della Fondazione, prof. Giancarlo Isaia, risponde ad una questione sollevata sul rapporto tra vitamina D e Covid. L’intuizione è nata dall’osservazione di quanto stesse capitando in un convento di suore di Tortona, le suore di clausura sono state falcidiate dalla malattia. Anni fa aveva notato come quasi tutte le suore di un convento a Torino fossero incorse nella frattura del femore. Un’analisi mirata aveva verificato che il dosaggio della vitamina D fosse basso. Con il prof. Medico hanno esaminato la letteratura sull’argomento ed è emersa questa ipotesi. Ne hanno parlato giornali di tutto il mondo, il prof. Isaia ha partecipato a webinar con il Cile, la Bolivia, il Brasile. Nota «un atteggiamento spocchioso dei colleghi di vari Comitati Tecnico Scientifici». Da marzo, la questione è stata approfondita in 248 lavori scientifici. Ne parla lunedì 23 novembre alle 16 sul canale YouTube dell’Accademia delle Scienze.

Le conclusioni sono a cura della vicepresidente, Stefania Chinellato. «L’osteoporosi è una grande pandemia silenziosa, pochi se ne occupano». L’Unione Europea l’ha resa oggetto di una raccomandazione in fatto di salute pubblica, la lotta all’osteoporosi è tra gli obiettivi più importanti.

 

Piergiacomo Oderda
Giornalista pubblicista, responsabile dell'ufficio stampa dell'Accademia di Medicina di Torino. Insegna religione in un Istituto tecnico torinese ed è un redattore del giornale "Vocepinerolese".

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