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Un team di ricercatori della Fondazione Santa Lucia IRCCS, dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma e del SanfordBurnham Prebys Medical Discovery Institute di La Jolla, California, ha dimostrato che un intervento farmacologico volto a correggere il contenuto delle vescicole extracellulari rilasciate all’interno del tessuto muscolare distrofico può ripristinare la capacità di rigenerazione dei muscoli e prevenire le fibrosi muscolari.
Lo studio, pubblicato su “EMBO Reports-Press”, rivela un nuovo promettente approccio terapeutico per la distrofia muscolare di Duchenne (DMD), ed offre implicazioni di vasta portata, nel campo delle distrofie muscolari e della medicina rigenerativa in generale.
Le vescicole extracellulari, sono particelle bioattive scambiate tra cellule del nostro corpo e pertanto, capaci di influenzare l’attività dei nostri organi e tessuti. Nell’ultimo decennio, le suddette particelle hanno attirato l’attenzione della comunità biomedica, a causa del loro potenziale terapeutico; esse infatti, contengono informazioni, sotto forma di DNA, RNA o proteine, che vengono trasmesse tra cellule di diverso tipo.
Le alterazioni nel contenuto di queste particelle portano, nei muscoli distrofici, ad una comunicazione errata tra le cellule presenti nell’interstizio dei muscoli distrofici e ne alterano il comportamento. In questo studio, gli scienziati hanno scoperto che tali alterazioni possono essere corrette, per ripristinare la comunicazione fisiologica tra le cellule dei muscoli distrofici.
“Il nostro studio mostra come le vescicole extracellulari siano mediatori bioattivi che possono trasferire i benefici dei farmaci, in questo caso inibitori dell’istone deacetilasi (iHDAC), per il trattamento della distrofia muscolare di Duchenne”, afferma Pier Lorenzo Puri, ‘Full Professor’ al Sanford-Burnham-Prebys Medical Discovery Institute, precedentemente ‘Direttore’ del Laboratorio di Epigenetica e Farmacologia Rigenerativa della Fondazione Santa Lucia IRCCS ed autore dello studio. Afferma ancora il Dott. Puri, “abbiamo scoperto le potenzialità del trattamento con iHDAC quasi vent’anni fa e svolto il lavoro preclinico, che ha portato alla sperimentazione clinica oggi in corso su bambini, con distrofia di Duchenne.” Nelle sperimentazioni cliniche in corso, i bambini con Duchenne sono infatti trattati con inibitori dell’istone deacetilasi (iHDAC) a dosi sub-ottimali, a causa del rischio di effetti collaterali avversi.
L’auspicio degli scienziati è che le vescicole extracellulari possano fornire un nuovo approccio, basato sul rilascio nei muscoli distrofici di queste particelle bioattive non immunogeniche, che mantengano
l’azione benefica degli iHDAC sui muscoli distrofici, senza causare gli effetti secondari sistemici indesiderati di codesti farmaci.
“Visto che il potenziale terapeutico degli inibitori delle istone deacetilasi, disponibili in questo momento è limitato da alcuni effetti avversi sistemici – continua il Dott. Puri – riteniamo che l’utilizzo di vescicole extracellulari corrette farmacologicamente con iHDAC possa essere esplorato, per veicolare nei muscoli distrofici una sorta di “essenza” dell’azione farmacologica di questi farmaci, evitandone gli
effetti indesiderati”.
Recenti studi hanno rivelato un alto numero di cellule presenti negli spazi tra le miofibre muscolari ed in grado di contribuire ai processi rigenerativi muscolari. Tra queste cellule ci sono i progenitori
fibro-adipogenici (FAP), che normalmente aiutano le cellule staminali muscolari a rigenerare le miofibre in seguito a traumi muscolari.
Precedenti ricerche del team del Dott.Puri hanno dimostrato che con il progredire della distrofia di Duchenne, la funzione di queste cellule viene alterata al punto che, anziché ‘aiutare’ le cellule staminali
muscolari a rigenerare le miofibre distrutte dalla malattia, attivano un processo di riparazione alternativo ma patologico, ovvero riparano il muscolo con cicatrici fibrotiche. La continua apposizione di materiale fibrotico, al posto di miofibre contrattili nei muscoli distrofici, viene considerato un evento chiave per la perdita della funzione muscolare nei pazienti affetti dalla distrofia muscolare di Duchenne, ma anche da altre forme di distrofia muscolare.
Gli scienziati sospettavano che una comunicazione alterata tra FAP e cellule staminali muscolari, dovuta a modificazioni nel contenuto delle vescicole extracellulari scambiate tra queste cellule, potesse essere parte del problema.
Per rispondere a questa domanda, Martina Sandonà, ricercatrice della Fondazione Santa Lucia IRCCS e prima autrice dello studio, insieme ai suoi colleghi ha condotto una serie di esperimenti, utilizzando biopsie muscolari di pazienti affetti da distrofia muscolare di Duchenne arruolati in uno studio di sperimentazione clinica con iHDAC. I ricercatori sono stati in grado di dimostrare che con il progredire della distrofia, la comunicazione cellulare attraverso le vescicole extracellulari viene progressivamente alterata nel tempo, compromettendo il potenziale di rigenerazione dei muscoli. I ricercatori hanno dimostrato che la correzione del contenuto delle vescicole extracellulari, con un inibitore di HDAC attiva le cellule staminali muscolari e promuove la rigenerazione, riducendo la fibrosi e l’infiammazione.
“I nostri risultati possono probabilmente essere estesi ad altre condizioni e malattie, poiché le vescicole extracellulari ‘farmacologicamente trattate’ potrebbero essere sfruttate come strumento terapeutico nella medicina rigenerativa”, afferma Valentina Saccone, PhD in Genetica Medica e ricercatrice alla Fondazione Santa Lucia IRCCS. “Queste particelle potrebbero anche essere utilizzate come approccio adiuvante per altri trattamenti, come le terapie geniche o cellulari”, aggiunge la dottoressa Saccone.
I progressi nel trattamento della distrofia muscolare di Duchenne, sono fortemente attesi dalle persone affette dalla malattia, dai loro curanti e familiari. La malattia genetica, è causata da mutazioni geniche che
portano alla mancata espressione della distrofina, una proteina deputata al mantenimento dell’integrità di struttura delle fibre muscolari, in seguito alla contrazione. I muscoli di pazienti affetti da Duchenne, sono pertanto vulnerabili alla degenerazione post-contrazione che porta alla progressiva perdita di tessuto muscolare contrattile e sostituzione dello stesso con tessuto fibrotico.
La DMD colpisce principalmente i bambini maschi (circa uno su 5.000 nati), con sintomi che spesso compaiono tra i 3 e i 5 anni. I progressi compiuti nel campo della ricerca medica ed una presa in carico multidisciplinare, hanno consentito di raddoppiare l’aspettativa di vita e superare la terza decade di vita.
“Per i bambini e gli adulti, che convivono con la DMD e le loro famiglie, la ricerca fornisce un raggio di speranza per un futuro migliore”, afferma Filippo Buccella, fondatore di Parent Project Aps, che ha fornito un supporto continuo al team del dott. Puri negli ultimi 20 anni ed ha finanziato tale ricerca. “Questo studio rivela un nuovo promettente approccio terapeutico per la Duchenne e ci avvicina di un
passo ai trattamenti che aiutano i bambini a mantenere la forza muscolare il più a lungo possibile ed a vivere vite lunghe ed “appaganti” afferma la dottoressa Sandonà, prima autrice della ricerca, che aggiunge: “Questo studio, ha un significato speciale per me: il mio sogno è sempre stato quello di avere l’opportunità di aiutare i ragazzi che vivono con la DMD attraverso la ricerca”. Questo lavoro fornisce anche un esempio della dedizione incessante allo studio della Duchenne da parte del team di ricerca di Pier Lorenzo Puri.
“Più opzioni abbiamo per trattare la distrofia di Duchenne meglio è, poiché è probabile che i farmaci con diversi meccanismi di azione possano essere più efficaci in combinazione”, afferma Sharon
Hesterlee, Ph.D, Vicepresidente esecutivo e Direttore della ricerca della MuscularDystrophy Association (MDA).
Fonti: osservatorio malattie-rare/distrofia-muscolare-di-duchenne.
UICI Caserta.
Lancet